PALERMO – Avrebbero pagato il pizzo in silenzio. E in silenzio sono rimasti una volta convocati dagli investigatori. Alcuni avrebbero addirittura negato. In 35, fra commercianti e imprenditori di Brancaccio e Ciaculli, sono stati iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di avere favorito gli estorsori.
La requisitoria dei pm
L’esistenza della maxi inchiesta e l’imminente richiesta di rinvio a giudizio è stata svelata nei giorni scorsi durante la requisitoria dei pubblici ministeri Bruno Brucoli e Francesca Mazzocco della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Prima di chiedere condanne pesantissime, i pm hanno ripercorso le vicende contestate agli imputati. Alla fine dell’udienza hanno depositato quasi mille pagine di requisitoria scritta al giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta che dovrà emettere la sentenza.
Ricostruendo le singole ipotesi di estorsione sono emersi i nomi di commercianti e negozianti. Sono stati convocati da poliziotti e carabinieri dopo il blitz del luglio 2021 e hanno negato di avere pagato. Lo hanno fatto, dicono gli investigatori, di fronte all’evidenza delle intercettazioni. In questa maniera sarebbero divenuti complici dei mafiosi. Hanno spiegato di non avere subito né minacce, né richieste di soldi, ma i pm non gli hanno creduto.
Ecco chi avrebbe negato il pizzo
“Il testimone è stato iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento”, hanno ripetuto i rappresentanti dell’accusa per un lungo elenco di nomi: Giampiero Cannella, amministratore di un supermercato; Ignazio Marciante, amministratore unico di un’impresa che distribuisce gas; Giulio Matranga, macellaio; Bernardo e Salvatore Martino, salumi e carni; Alessandro Tinnirello, venditore di polli alla brace (è genero del boss Nino Sacco); Giuseppe Airò, gestore di un locale notturno ; Deborah Polito, titolare di un negozio di articoli per animali; Paolo Vaccarella, titolare di un bar; Giovanni Visconti di un’impresa che ricicla metalli; Maria Prestigiacomo, titolare di una pizzeria; il tabaccaio Rosario Messina; Antonino e Girolamo Giacalone, titolari di un negozio di mobili; Fabrizio Artale, gommista; Carmelo Rosario Fulvo, meccanico; Carlo Brancato, proprietario di un panificio; Giuseppe Augello, dipendente di un supermercato; Filippo Sassano, direttore di un supermercato; Cristian Biancucci, proprietario di una salumeria; Giovanni Nuccio, macellaio; Giuseppe Lo Negro, titolare di una bottega di gastronomia; Salvatore Meli, titolare di un bar; Antonio Rispetta, autotrasportatore; Salvatore Giardina, titolare di un panificio; Francesco Sparacello, macellaio; Salvatore Edmundo Guccione, imprenditore edile; Vincenzo Sinagra, negoziante di articoli per la casa; Giacomo Pampillonia, venditore di frattaglie; Giovan Battista Caruso, titolare di un’impresa che vende caffè; Giovanni Luca Inzerillo, che avrebbe pagato il pizzo sulla compravendita di una casa; Mercurio Sardina, Tommaso Calabria, Pietro Binario, titolari e gestori di due bar; Egidio La Valle, autodemolitore.
Pizzo e silenzi
Scorrendo l’elenco si trova la conferma di quanto sia ancora diffuso il fenomeno del racket, nonostante grazie ai blitz delle forze dell’ordine mandanti ed estorsori finiscano ciclicamente in carcere. Si paga non solo per paura, ma anche per convenienza e connivenza.
Il clan di Ciaculli, che secondo la Dda era guidato da Giuseppe Greco, aveva un drappello di uomini del racket sempre in movimento. A coordinarli sarebbe stato Maurizio Di Fede. Le intercettazioni hanno smascherato la sua attività: “Cominciamo con i miei… così me li scrivo… quindi io ho questo, me li ha dati tutti per Natale…”.
I commercianti convocati come testimoni erano più di 40. Solo in sette non hanno visto cambiare la loro posizione. Gli altri da testimoni sono diventati complici e per loro la Procura chiederà il processo.
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