Palermo, il vecchio Mineo e il giovane Greco e il destino dei boss

Il vecchio padrino, il giovane boss e il carcere come inevitabile destino

Mito e tradizione. La mafia degli irredimibili

PALERMO – Il punto di arrivo è sempre lo stesso. Il carcere è inevitabile, ma evidentemente in molti casi fallisce la mission rieducativa. Prendete Settimo Mineo, aveva trascorso una grossa fetta della sua vita in cella e vi è tornato nel 2018, lui che è stato l’anziano “presidente” della cupola mafiosa che provò a rinverdire i fasti di un tempo.

Tutti in carcere, anche i più giovani e spavaldi. Come Leandro Greco, cresciuto a pane e mafia nel mito del nonno Michele, il “papa” di Cosa Nostra. Sono due dei condannati dalla Cassazione con una sentenza di mercoledì 29 maggio.

Erano seduti al tavolo della nuova commissione provinciale della mafia, quella del dopo Riina. L’ordine era “serrare i ranghi”.

Greco deve scontare 12 anni, Mineo di più. Si parte dai 21 anni in continuazione con una precedente condanna. La Cassazione ha stabilito che è colpevole, ma la pena finale andrà limata in un nuovo processo di appello.

Il grande vecchio, ultraottantenne, “dai guai che ha passato lui s’avissi a schifiari pure a taiarli sti cristiani (il solo sguardo di determinate persone doveva provocare disgusto in Mineo)”. Così dicevano due anziani intercettati. Ed invece Mineo rispose presente alla nuova chiamata alle armi.

Non gli sembrò vero, fu una seconda rinascita. Un trentennio fa era un uomo morto, condannato da quel Totò Riina che, anche se solo simbolicamente, era stato chiamato a sostituire. Nella guerra scatenata dai corleonesi Mineo perse due fratelli, Antonino e Giuseppe, assassinati nel 1981 e nel 1982.

“Non usciva da dentro e piangeva”, dicevano gli anziani intercettati. Le cose nel 2018 erano cambiate, come è cambiato Mineo, che ha tradito il suo padrino Nino Rotolo, il quale mai avrebbe autorizzato il ritorno degli scappati.

Ed invece Mineo era tutta una cosa con Franco e Tommaso Inzerillo, rientrati a Passo di Rigano e di nuovo arrestati.

L’anziano boss al tavolo della cupola si trovò di fronte lo spavaldo Leandro Greco. “U criaturi (la piccola creatura, il ragazzino)”, come lo chiamava Giovanni Di Giacomo, killer ergastolano del gruppo di fuoco di Pippo Calò.

Il nonno di Leandro è Michele Greco. A Ciaculli, al civico 461 dell’omonima via, nella casa che fu del nonno viveva il nipote. Con la sua ascesa il cuore del mandamento fu spostato da Brancaccio a Ciaculli.

Nel 2013 Giovanni Di Giacomo parlava in carcere con il fratello Giuseppe che sarebbe stato da lì a poco assassinato. Fece un riferimento al “nipote del vavetto”. E cioè lo zio Nunzio Milano che ha avuto un peso determinante a Porta Nuova nella mafia disegnata da Nino Rotolo, boss di Pagliarelli. La sorella di Nunzio è stata la moglie del ‘papa’.

Aveva solo 28 anni il giovane Greco quando partecipò all’assise mafiosa, portando al dito mignolo l’anello d’oro del nonno.

Poi è arrivato un matrimonio a saldare l’asse mafioso che lega Ciaculli a Porta Nuova. Il fratello di Leonardo ha sposato la figlia di Gregorio Di Giovanni, capomafia di Porta Nuova e altro membro della commissione provinciale di Cosa Nostra.

Il vecchio e il giovane, stesso destino e stessa certezza: lo Stato c’è, ma certi mafiosi sono irredimibili.


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