PALERMO – Sostiene di non conoscere i boss di Resuttana e di non avere chiesto ai mafiosi il favore per il quale è stato arrestato: minacciare gli inquilini di alcune case di sua proprietà per farli andare via. Il notaio Sergio Tripodo si difende dall’accusa di estorsione aggravata nel corso dell’interrogatorio di garanzia.
Nelle intercettazioni emerge con chiarezza l’intervento di Sergio Giannusa, considerato il luogotenente del boss Salvo Genova, nei quattro immobili comprati dal notaio in via Alaimo da Lentini, nella zona di via Montalbo. Gli inquilini facevano ostruzionismo, nonostante fosse stato emesso un provvedimento di sfratto.
Le minacce sono rimaste impresse nei nastri magnetici dei poliziotti della squadra mobile: “… ti butto da qua sopra dice te ne devi andare”; “… se l’è comprata mio compare, è come se fossi io”. Il notaio ha spiegato di non avere dato mandato ai mafiosi. Se si sono mossi lo hanno fatto in autonomia. Non riesce a spiegarsi perché abbiano speso il suo nome. Anche perché, carte alla mano, il notaio finito ai domiciliari, accompagnato dagli avvocati Giuseppina Aronica e Marco Giunta, ha cercato di dimostrare che non aveva più alcun interesse sugli immobili.
Li ha comprati da un sacerdote nel 2012, nel 2013 ha chiesto agli inquilini di andare via. Un anno dopo ha iniziato le procedure di sfratto. Nel 2015, però, sugli immobili è piovuta una ipoteca a seguito della notifica di una cartella esattoriale. L’Agenzia delle entrate ha chiesto a Tripodo una cifra che si aggira attorno al milione di euro, chiamandolo a rispondere in solido con dei clienti per alcuni atti su cui ha messo il sigillo. Nel 2017 le case sono state pignorate e messe in vendita dallo Stato nel 2018. “Non avevo interesse a farle sgomberare nel 2020 (data delle intercettazioni”, avrebbe messo a verbale Tripodo.