PALERMO – C’è un mandamento a Palermo più misterioso di altri. Capace di proteggere, avvolgendola nel silenzio tombale, la latitanza dell’ultimo padrino della vecchia guardia, Giovanni Motisi. Basterebbe già questo per consegnare a Pagliarelli il primato dell’enigmaticità. Eppure c’è molto di più.
Ci sono i milioni investiti all’estero da Giuseppe Calvaruso, che è stato il reggente del mandamento, la presenza di uomini d’onore riservati sfuggiti ai radar investigativi per decenni, lo statuto dei “padri costituenti” di Cosa Nostra nascosto chissà dove che qualcuno giura di avere letto. Per fortuna il lavoro di magistrati e forze dell’ordine ha svelato parecchi segreti. Non tutti, però.
Anche a Pagliarelli gli investigatori si misurano con gli scarcerati come Francesco Annatelli, Giuseppe e Antonio La Innusa. Annatelli, a giudicare da un passaggio investigativo, sarebbe entrato in gioco nel 2021. C’era stata una riunione fra Gioacchino, Pietro e Angelo Badagliacca, zio e nipoti, cognomi di peso nel mandamento, tutti recentemente condannati dopo essere tornati al potere.
Pietro Badagliacca ricordava al nipote Gioacchino che esisteva una struttura gerarchica che andava rispettata. E lui era il capofamiglia. Per dare forza al suo discorso Badagliacca senior ricordava l’esistenza di un documento: “C’è lo statuto scritto… che hanno scritto… i padri costituenti“.
Si erano riuniti in un rudere di via Cannolicchio, una delle tante stradine del dedalo che inizia nella parte alta di corso Calatafimi e arriva fino a Borgo Molara. Sul piatto della discussione c’era la proposta di un vecchio uomo d’onore, Annatelli appunto. Voleva che si affidasse il potere di gestire le estorsioni a Paolo Suleman. I Badagliacca, però, non lo ritenevano all’altezza. “… si fa da corso Calatafimi a scendere… deve stare fuori dalla società”, gli dissero.
Ed invece Suleman si fece largo in mezzo a uomini riservati come l’ottantenne Antonino Anello, e ai fratelli settantenni Pasquale e Michele Saitta, insospettabili commercianti di vino e alimentari. Defilati, ma chiamati in causa per dirimere contrasti che rischiarono di fare implodere la famiglia. Ci sono altri uomini d’onore che lavorano nell’ombra?
Nell’ombra, almeno fino a quando la Direzione distrettuale antimafia non ha rannodato i fili degli affari, ha accumulato milioni e milioni in giro per il mondo Giuseppe Calvaruso. Gli investigatori hanno trovato alcuni fogli di contabilità in cui ci sono i nomi di imprenditori e commercianti che avrebbero contribuito a creare dei fondi neri utilizzati da Calvaruso per spingere gli iniziali investimenti all’estero.
Investimenti che Calvaruso potrebbe avere portato avanti per sé stesso e per altri. Due pezzi grossi del mandamento qualche anno fa sono stati al centro di un misterioso scambio di pizzini assieme ad un boss dell’Uditore all’interno del carcere Pagliarelli. Si trattava di Andrea Ferrante, Giovanni Cancemi e Salvatore Sansone.
Un detenuto barese ristretto nel reparto Libeccio si era avvicinato a Ferrante durante l’ora d’aria. “Muriu un cani… non posso in questo momento”, diceva il pugliese che stava scontando una condanna per omicidio, estorsioni e armi, facendo riferimento alle perquisizioni appena subite nella sua cella. Gli agenti della Penitenziaria avevano trovato un cellulare.
Il 17 aprile 2021 Giuseppe Calvaruso concluse il periodo di isolamento dopo l’arresto e fu trasferito nella sezione “Alta sicurezza Grecale”. Subito Ferrante e Cancemi organizzarono il comitato di accoglienza con baci e abbracci.
Un giorno le telecamere accese su ordine della Procura della Repubblica registrarono un episodio dal forte valore simbolico. Nei pressi dei cancelli divisori tra le sezioni, Ferrante baciò in bocca un altro detenuto, Salvatore D’Amico, che da lì a poco sarebbe stato scarcerato. Ferrante prima gli avrebbe fatto recapitare un messaggio e poi quel bacio, ancora tutto da interpretare.
E Sansone dell’Uditore? Gianni Nicchi, giovane capomafia di Pagliarelli fu arrestato nel dicembre 2009 in un appartamento di via Filippo Juvara, a poche centinaia di metri dal Palazzo di Giustizia. Era solo un luogo di passaggio e di incontri. Il vero covo era altrove. Era stato ospitato in una casa nel rione Uditore, dove c’era la villa del suo mentore, il boss Nino Rotolo.
All’Uditore c’è la villa dove vive la famiglia di Giovanni Motisi. Il 2 giugno del 1999 i carabinieri si presentano nell’immobile costruito accanto a quelli di Nino Rotolo e dei Sansone. Durante la perquisizione saltarono fuori una sfilza di bigliettini. Motisi e la moglie, Caterina Pecora, erano in costante contatto.
A fare da tramite erano alcuni personaggi che oltre a smistare la posta, consegnavano denaro, vestiti e regali. Gli scritti più interessanti erano quelli che facevano riferimento a un fioraio, Vincenzo Cascino.
La macchina di quest’ultimo fu riempita di microspie. Saltarono fuori i contatti fra il fioraio e pezzi da novanta di Cosa nostra che gli costarono l’arresto, nel maggio del 2002. Cascino era in stretti rapporti con Giuseppe Calvaruso.
“Gli unici che ci andavamo eravamo io e lui…”, diceva nel 2016 Calvaruso riferendosi al canale diretto che lui e Cascino avevano con l’ultimo padrino latitante, protetto da uno silenzio tombale. Alessio Puccio, soldato di Porta Nuova, dunque pedina di rango inferiore e per giunta di un altro mandamento, aveva saputo che il mafioso Giuseppe doveva rimanere ‘serbato’ (conservato, nel senso di riservato ndr) cioè di non farsi notare in giro con altre persone”.
Aveva saputo che era “impegnato in una cosa molto importante” con un parente di Motisi. Ed ecco un altro dei tanti misteri ancora svelare.