PALERMO – “Come ho sempre detto è capitato che acquistassi droga da Di Ferro. Sempre e solo cocaina”, ha raccontato Gianfranco Miccichè al pubblico ministero Giovanni Antoci. Sentito come persona informata sui fatti il deputato regionale di Forza Italia, mercoledì scorso, ha ammesso di fare uso di sostanze stupefacenti.
Nel verbale, depositato il giorno prima dell’interrogatorio di Mario Di Ferro davanti al gip Antonella Consiglio, l’ex presidente dell’Ars ha offerto una versione diversa rispetto alle dichiarazioni rilasciate ai media. Aveva negato, infatti, di essere andato al ristorante di via della Libertà per prendere la cocaina e aggiunto che il consumo di stupefacenti facesse ormai parte del suo passato. Il testimone Micciché (non è indagato) non ricordava tutti gli episodi ricostruiti dai poliziotti della squadra mobile. Quando il pm gli ha mostrato le foto del suo arrivo al ristorante di via Libertà e letto le conversazioni intercettate li ha confermati quasi tutti.
Fra il politico e Mario Di Ferro “c’è una grande amicizia” che va avanti da anni. Non si sono più sentiti “dopo i fatti di aprile” (e cioè il primo arresto di Di Ferro), poi “gli ho mandato solo un saluto”. Amici prima di tutto, e poi la storia della droga: “Andavo da Di Ferro perché lui sapeva dove andare a prendere la cocaina”. E cioè dai fratelli Salvatore e Gioacchino Salamone, finiti in carcere, che il ristoratore nel suo interrogatorio ha detto di conoscere sin da quando, da ragazzini, erano vicini di casa alla Vucciria.
Una cosa ha precisato Miccichè sull’amico Di Ferro: “Non lo consideravo e non lo considero uno spacciatore”. Perché è vero che “Di Ferro mi chiede del denaro”, ma solo perché “lui comprava la cocaina e io dovevo pagarlo”. Una cortesia, un favore fra amici senza alcun interesse economico. Di fatto Miccichè ha conferma la tesi sostenuta da Di Ferro nel corso dell’interrogatorio di garanzia.
Il deputato, ed ex senatore, comprava la droga “tre, quattro volte al mese”. E lo faceva personalmente senza coinvolgere altre persone, andando al ristorante dove era di casa: “Quando ero presidente dell’Ars davo appuntamenti a molte persone a Villa Zito”, come se fosse una sorta di ufficio distaccato di palazzo dei Normanni. Ci sono episodi che però ha smentito. Ha indefinito “inverosimile” la circostanza in cui sembrerebbe emergere una richiesta di dieci dosi, ma ha confermato tutti gli atri passaggi in cui chiedeva a Di Ferro di procurargli la droga. Stessa cosa ha l’ex burocrate regionale Giancarlo Migliorisi, pure sentito come persona informata sui fatti. Bottiglie, cibo e posti al ristorante? “Era un linguaggio in codice” per ordinare la droga.