Palermo, la morte di Darin: l'ostinazione della mamma e il processo

La morte di Darin: l’ostinazione della mamma e il processo

Dibattimento al via a Palermo. La donna parte civile assieme all'altro figlio

PALERMO – Al via l’udienza preliminare del processo per la morte di Darin D’Anna, il giovane biologo deceduto due anni fa all’età di 35 anni. Sarebbe stata una diagnosi sbagliata a provocare il decesso, provocato da un tumore.

Si sono costituiti parte civile la madre, Lucia Costanza, e il fratello Davide, con l’assistenza degli avvocati Nino Agnello e Salvo Vitrano. Alla prossima udienza saranno citati gli ospedali San Raffaele Giglio di Cefalù e Cervello di Palermo come responsabili civili in caso di condanna.

La mamma, docente di Biologia molecolare, non era convinta dell’operato dei sanitari e decise di inviare i vetrini al Rizzoli di Bologna. Quando scoprì la gravità della forma di tumore che aveva colpito il figlio ormai più nulla c’era da fare.

Il giudice per le indagini preliminari Filippo Serio nei mesi scorsi ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Palermo e ha ordinato al pm di formulare l’imputazione di omicidio colposo nei confronti dei medici Filippo Boniforti, Aroldo Gabriele Rizzo, Angelo Vetro e Giancarlo Pompei che ebbero in cura il paziente. I medici si sono sempre difesi, sostenendo che non era possibile accorgersi della malattia.

Darin, a cui l’Università conferì la laurea magistrale post mortem, aveva una rara forma di tumore che si era manifestata con un problema al ginocchio, ma i sanitari non avrebbero fatto tutto il possibile per evitare il decesso.

Secondo il giudice, dopo che l’uomo fu sottoposto a un intervento chirurgico, i sanitari “hanno commesso errori diagnostici, chirurgici e terapeutici in quanto a causa di esami strumentali incompleti e di una analisi non corretta del materiale a disposizione, non sono stati in grado di pervenire a una diagnosi di neoplasia maligna sarcomatosa”.

L’iniziale diagnosi sbagliata parlava di cisti di Baker. Ed invece, secondo il gip, “i medici avrebbero dovuto riconoscere nei campioni esaminati gli elementi indicativi di una neoplasia maligna”.

Da qui l’imputazione coatta nonostante la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura sulla base delle conclusioni dei periti. Altri esperti sono stati di parere opposto.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI