Palermo, processo agli spaccaossa: altre condanne NOMI - Live Sicilia

Palermo, processo agli spaccaossa: altre condanne NOMI

L'accusa regge in appello. Tutte le pene

PALERMO – L’impianto accusatorio regge davanti alla Corte di appello. Solo qualche lieve sconto di pena per alcuni imputati e un solo assolto.

Questo il verdetto per una presunta banda di spaccaossa giudicati dal collegio presieduto da Mario Fontana:Patrizia Alaimo 4 anni e 4 mesi, Ermanno Campisi (3 anni e 4 mesi contro i 4 anni del primo grado), Antonino Di Gregorio 9 anni e 8 mesi, Emanuele Di Mattei 5 mesi e 10 giorni, Giuseppe Di Piazza (8 mesi contro 1 anno e 8 mesi), Rosalia Maria Farina 5 mesi e 10 giorni, Antonino Ferrigno 3 anni e 8 mesi, Emanuela Gallano 3 anni e otto mesi (in primo grado ne aveva avuti 5 anni e 8 mesi), Antonino Giglio (assolto, difeso dall’avvocato Alessandro Piscitello, in primo grado era stato condannato a 3 anni e 8 mesi), Gesuè Giglio 3 anni e 10 mesi (ha avuto uno sconto di pena), Rita Mazzanares 3 anni e 2 mesi, Giovanni Moncada 1 anno, 1 mese e 10 giorni, Giovanni Napoli 7 anni e 2 mesi, Fabio Riggio 4 anni e 6 mesi, Francesco Paolo Sanzo 5 mesi e 10 giorni, Elisabetta Scarpisi 5 mesi e 10 giorni.

Nel fascicolo c’erano le ammissioni di Di Gregorio, considerato il capo di una delle due bande scoperte da poliziotti, finanzieri e agenti della polizia penitenziaria, il suo braccio destro Campisi e di Alaimo, colei che reclutava le persone disposte a farsi spezzare gambe e braccia per incassare gli indennizzi.

Le organizzazione facevano capo una a Di Gregorio e l’altra a Napoli. Centinaia i falsi incidenti per un giro di affari milionario. Una sera al pronto soccorso c’erano contemporaneamente sette infortunati. Ad accompagnarli un membro della banda, attento a verificare che tutto filasse liscio.

Le vittime-complici dei falsi incidenti venivano adescati fra gli sbandati che si aggirano di notte alla stazione centrale o frequentano le bettole per ubriacarsi. Il più delle volte hanno finito per essere anche truffati. Dei soldi promessi hanno incassato gli spiccioli, neppure sufficienti per comprare i farmaci ed alleviare il dolore delle fratture provocate con grosse pietre. In molti hanno ammesso le loro colpe. Per mesi sono stati chiamati alla squadra mobile o negli uffici della finanza. Una sfilata di persone zoppicanti che giungevano sorretti da qualcuno o reggendosi sulle stampelle.

C’era chi si era fatto prestare del denaro e non poteva più restituirli. “Avevo altri debiti”, raccontò. E arrivò la proposta “di farmi rompere un braccio o una gamba per saldare il mio debito”. Lo condussero in un appartamento a Borgo Nuovo e qui “mi hanno fatto mettere per terra, a pancia in giù, e mi hanno scaraventato sul braccio un mattone di tufo di colore giallo. Io sono quasi svenuto dal dolore”.

C’era il disoccupato a cui diedero appuntamento in una “casetta di campagna a Bagheria” e “con un peso da palestra mi hanno fratturato tibia, perone, malleolo e radio così come eravamo rimasti”.

C’era la donna avvicinata al bancone di un bar dove “mi hanno offerto tre o quattro birre, poi mi hanno fatto fumare almeno quattro spinelli”. Poi, le spezzarono gli arti inferiori e superiori. “Il primo piano e il secondo piano”, li definivano. Almeno lei ebbe la fortuna che “mi ha fatto due punture, una nel braccio destro e l’altra nella gamba sinistra”.


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