Palermo, torturati e uccisi dal boss sanguinario: ergastolo - Live Sicilia

Palermo, torturati e uccisi dal boss sanguinario: ergastolo

Tra gli omicidi quello di un uomo rapito sotto gli occhi della figlia

PALERMO – Ergastolo definitivo per il boss di Carini, Ferdinando Gallina. C’è la sua mano sanguinaria dietro gli omicidi di Francesco Giambanco, Giampiero Tocco e Felice Orlando. Lo ha stabilito la Cassazione.

Fino al 2017 nella fedina penale del boss di Carini c’era solo una condanna definitiva per mafia. Poi, sono arrivate le dichiarazioni di Antonino Pipitone ad inchiodarlo. Servirono da riscontro a quelle di un altro pentito, Gaspare Pulizzi.

Rampollo di mafia, ha seguito l’esempio del padre Salvatore che per anni è stato il capo della famiglia mafiosa di Carini. Quindi ha acquisito la parentela con il cognato, Giovanni Battista Giacalone, che fino al 2008 è stato coreggente della famiglia di San Lorenzo con Massimo Giuseppe Troia.

Tocco fu rapito sotto gli occhi della figlia, torturato e infine ucciso (i familiari erano parte civile al processo con l’assistenza dall’avvocato Emilio Chiarenza). Le sole dichiarazioni di Pulizzi, però, non bastavano ad incriminarlo. Ecco perché furono decisive quelle di Pipitone.

Freddy Gallina era stato fermato a fine 2017 a New York dove era arrivato clandestinamente. Era scappato qualche mese prima, violando la sorveglianza speciale. Del giovane Gallina si parlava ormai da anni. Nel luglio del 2003 due mafiosi lo tirarono in ballo quando ci fu da sancire la pace con il boss Antonino Di Maggio. Una pace disposta “dall’alto dei cieli” e cioè da Bernardo Provenzano.

Poi arrivarono i pizzini di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, in cui il nome Freddy ricorreva spesso. A lui i boss di San Lorenzo affidavano le estorsioni più delicate. E nel frattempo Gallina scalava le posizioni di potere. Quando si pentì Franco Franzese, “Franco di Partanna”, fedelissimo dei Lo Piccolo, si capì che stava per succedere un terremoto nel mandamento. Fu davvero così.

La microspia piazzata sulla macchina di Giampiero Tocco registrò le fasi del rapimento. Uno dei finti poliziotti alzò la paletta per intimare l’alt alla vittima: ” … buona sera… scenda un attimo per favore… parcheggia un po’ più avanti… la multa… è successo qualche cosa che…”.

L’epilogo di quel finto posto di blocco fu l’omicidio di Tocco. Torturato e assassinato. Condannato a morte dal Tribunale sommario di Cosa Nostra. Non si aspettavano che Tocco, di professione macellaio, fosse in macchina con la figlia di sette anni: “…. c’è a picciridda nna machina… camu a fari cu sta picciridda”. La bambina piangeva: ” … papà, papà… non andartene… “. Il padre capì che stava andando incontro alla morte e tentò di salvare la figlia: “… non prendetevela con lei, è chiaro?… “.

La figlia chiamò subito la madre: ” … mamma, mamma, la polizia ha preso papà… hanno controllato se aveva la patente, non so dove è andato, mi sono spaventata da morire… lo mandano in galera? … voglio andare via, non mi sento bene… ‘”. in macchina cominciò l’interrogatorio di Tocco: “… fustivu a Partinico stamatina?… a cu ammazzasti?”.

Gli attribuivano il delitto di Giuseppe Di Maggio, figlio di don Procopio, boss di Cinisi. “Io ti ammazzo… facemu i cosi beddi puliti”, disse uno dei componenti del commando. Tocco pensava solo alla figlia: “C’è a picciridda in macchina”.

Tocco fu condotto al cospetto dei suoi carnefici. Il collaboratore Antonino Pipitone ricostruì la terribile scena: “Venne legato a una sedia per essere interrogato: durante questo interrogatorio rimasero dentro i miei zii Vincenzo e Giovan Battista e i due Lo Piccolo, Damiano Mazzola ed anche i due palermitani che erano stati nella macchina con me”.

Lo sai chi sono io?”, chiese Salvatore Lo Piccolo a Tocco. Chinò il capo: “Sì e ne sono onorato”. Lo Piccolo gli contestò la partecipazione all’omicidio e il macellaio rispose: “Fu deciso da persone che stanno molto in alto”. Forse alludeva a Bernardo Provenzano che nel 2000 era il capo di Cosa nostra. Totuccio, il barone di San Lorenzo, fu di poche parole: “Tu non hai capito che l’alto sono io”.

A Nino Pipitone toccò il lavoro sporco: “Dopo un po’ di tempo, fui chiamato da mio zio Giovan Battista che disse che avremmo dovuto portare il corpo in campagna: se ne occuparono materialmente Pulizzi e Gallina”.

“Arrivati in campagna, alla presenza dei miei zii e di Antonino Di Maggio. Così finiva il macabro racconto – il corpo fu messo in un fusto di acido e sciolto: ricordo che Angelo Conigliaro (nel frattempo deceduto), che dava ogni tanto una mescolata al fusto, conservò anche gli effetti personali di Tocco”.

Felice Orlando fu massacrato nel 1999 a colpi di pistola nella sua macelleria allo Zen. Un anno dopo sotto i colpi di killer, a Carini, cadde Francesco Giambanco.


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