La procura di Palermo ha già trasmesso gli atti dell’inchiesta su Massimo Ciancimino alla direzione nazionale Antimafia, ma il problema resta. Si possono, infatti, negare alla superprocura i fascicoli sulle indagini in corso da parte delle varie direzioni distrettuali Antimafia? La questione è a un passaggio decisivo, col voto di domani del Csm, in una storia che ha diviso anche Falcone e Borsellino quando la Dna era ancora in nuce.
Il Csm, dunque, si troverà domani a votare su una questione che, nel merito, è già stata risolta. La procura di Palermo ha, infatti, passato l’incartamento dell’inchiesta sulla “trattativa” – fascicolo nel quale rientra anche la vicenda che interessa Massimo Ciancimino – alla procura nazionale Antimafia. Ma, con il faldone, è stata anche inviata una lettera nella quale si sottolinea come gli atti siano stati trasmessi pur in assenza di uno specifico obbligo di legge. Se, infatti, nel merito il problema è stato risolto, nel principio resta e riguarda l’equilibrio di poteri fra la Dna e le varie Dda.
Per assolvere ai compiti di coordinamento dovrebbe essere automatico il diritto ad accedere a tutte le inchieste che si stanno svolgendo nelle varie direzioni distrettuali Antimafia. Questo il problema sollevato da Piero Grasso al capo dello Stato che ha interessato il Csm. Ma Palazzo dei Marescialli, la settimana scorsa, si è diviso. La maggioranza si è espressa a favore di Grasso, ma il voto è stato trasversale alle diverse correnti della magistratura, a dimostrazione che il problema è di principio.
Per la procura di Palermo, la Dna non è un organo gerarchicamente superiore alla direzioni distrettuali e il suo è un compito di coordinamento con la funzione di agevolare lo scambio di informazioni. Risolve i conflitti, come quello avvenuto proprio fra Palermo e Caltanissetta, ma non ha diritto ad accedere alle inchieste “in tempo reale”, a quelle indagini che sono ancora nella loro fase iniziale. Il rischio è che si possa così creare un organo di controllo di tutte le inchieste che si svolgono nel territorio italiano.
Un rischio che potrebbe riguardare eventuali ingerenze della politica. In teoria, se passasse il concetto dell’automatismo della trasmissione degli atti, con un’ispezione alla Dna (fattispecie mai accaduta finora), il ministero avrebbe accesso a tutte le informazioni sulle indagini in corso. “Una superprocura che vuole sottoporre il pm al potere esecutivo e introdurre di fatto la discrezionalità dell’azione penale” diceva, nel lontanissimo 1991, Giacomo Caliendo, allora vicepresidente dell’ Anm. E ancora oggi la diatriba è aperta.
Una questione che divise anche Falcone e Borsellino, quest’ultimo fra i firmatari di una lettera molto critica nei confronti del progetto della Dna. Poi, parlando dopo la morte del collega e amico, dichiarò come quello fosse un tentativo di ” ricreare in campo nazionale e con leggi dello Stato quelle esperienze del pool antimafia che erano nate artigianalmente senza che la legge le prevedesse e senza che la legge, anche nei momenti di maggiore successo, le sostenesse”.