La città di Borsellino: "Non dimentichiamo i giusti"

La città di Borsellino: “Non dimentichiamo i giusti”

La Messa alla Kalsa. Una coincidenza speciale. L'omelia dell'arcivescovo Lorefice.
VIA D'AMELIO
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C’è una Palermo che ama davvero Paolo Borsellino. Che sa andare al cuore di una memoria. Si incontra nella strada che porta a Santa Maria della Kalsa, la chiesa che vide il battesimo, in anni diversi, di Paolo Borsellino e don Pino Puglisi. Tre uomini, appartenenti a una associazione, arrancano sotto la canicola. Incedono con difficoltà, perché il sole picchia, ma si capisce che non mancherebbero per nessun motivo alla Messa officiata dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice. Si sale, con affanno, da via Cervello, fino a via Torremuzza, attraversando la città dei bassi, dei babbaluci consumati, fino a qualche ora fa, in occasione del Festino. Qui c’è la città spesso dimenticata nei fatti, mai dalla retorica, con i suoi palermitani accomodati sulle sedioline da marciapiede che sventolano i ventagli, implorando la grazia di un po’ di fresco.

Una volta varcata la soglia, don Giuseppe Di Giovanni guida tutti al fonte battesimale che vide l’aspersione di un giudice e di un sacerdote che seminarono speranza, accomunati dal coraggio che attirò la sanguinaria attenzione della mafia. Ecco i certificati del battesimo, sulla scrivania della sacrestia. “Don Pino è stato mio professore a scuola e mio padre spirituale – racconta padre Giuseppe -. L’incontro con lui è stato un dono”. Sfilano le autorità. Si sussurrava della presenza della premier, subito smentita. Sfilano il presidente della Regione, Renato Schifani, il sindaco, Roberto Lagalla, il presidente del tribunale, Piergiorgio Morosini, il procuratore, Maurizio De Lucia e altri.

Don Corrado, chiamato così nell’affettuosità consueta di una vicinanza con la città, racconta il dolore e gli orizzonti, nella sua omelia: “Quando i malvagi distruggono i fondamenti dell’umanità solo l’azione dei giusti può evitare che il loro disegno perverso possa avere successo. Chi uccide un uomo è come se uccidesse il mondo intero e chi salva un uomo è come se salvasse il mondo intero. Oggi ci è chiesto di onorare questi nostri martiri della giustizia e della legalità con un rinnovato impulso di fedeltà corresponsabile di tutti agli impegni sanciti dalla nostra Costituzione e, soprattutto, dei ‘cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche’ poiché ‘hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore’. Lo dobbiamo anche ai familiari delle vittime”.

Ed eccoli lì, nelle panche, dietro le autorità, coloro che hanno perso qualcuno, nella stagione delle stragi. C’è Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta di Giovanni Falcone. “Oggi dobbiamo restare tutti uniti, se qualcuno vuole fare polemiche, le faccia da domani. Hai capito? Le polemiche Rimmane”. Alla fine della cerimonia l’arcivescovo li abbraccia tutti, uno per uno, in una stretta paterna. Ci sarà spazio, tra i partecipanti, per una foto ricordo con il coro.

E ci sono loro, le donne e gli uomini in uniforme. Due poliziotti all’altare, impeccabili, nonostante il caldo che opprime anche tra le navate. Ci sono loro che hanno visto i colleghi cadere, come suggerisce qualche capello bianco. Altri sono giovani e qualcuno avrà scelto un mestiere difficile per onorare quei morti, con i nomi che vengono spesso dimenticati. Agostino, Walter Eddie, Vincenzo, Emanuela, Claudio, in via D’Amelio, con Paolo. Antonio, Rocco, Vito, a Capaci, con Giovanni e Francesca. Sono lì, quelle uniformi, e comunicano con gesti appena intellegibili, sfumati dal dovere, ma chiari per uno sguardo meno effimero. E sono occhiate, mani che si sfiorano, che si aprono per il Padre Nostro, cenni d’intesa. E sono le preghiere, forse, di chi non c’era e si salvò, in quei giorni. Di chi ci sarebbe stato, senza battere ciglio, a ogni costo. Di chi si trovò davanti i resti umani di persone che chiamava per nome. (rp)


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