Palermo, l'ex preside antimafia dello Zen patteggia la condanna

Palermo, l’ex preside antimafia dello Zen patteggia la condanna

Due anni e mezzo a Daniela Lo Verde

PALERMO – L’ex preside antimafia del quartiere Zen di Palermo, Daniela Lo Verde, e il suo vice Daniele Agosta hanno patteggiato la condanna. Due anni e mezzo alla prima, due anni al secondo.

Per avere il via libera dal giudice per le indagini preliminari Fabio Pilato hanno dovuto rivedere al rialzo l’istanza che nei mesi scorsi si era fermata ad un anno e dieci mesi ed era arrivata la bocciatura.

Le accuse a Lo Verde

I pubblici ministeri Calogero Ferrara ed Amelia Luise, della Procura europea, contestavano ai due imputati i reati di corruzione e peculato nella gestione dei fondi assegnati alla scuola che porta il nome di Giovanni Falcone

Dalle indagini venne fuori che Lo Verde si sarebbe appropriata del cibo destinato alla mensa degli alunni e nei laboratori di cucina, e degli iPhone (poi restituiti) per i corsi. I carabinieri fotografarono la dirigente mentre usciva con i sacchetti della spesa dalla scuola.

L’origine dell’indagine

Nel corso delle indagini l’ex dirigente scolastica, che fino all’inchiesta era in prima linea nell’impegno per la legalità, ha risarcito danni per circa ventimila euro. Una professoressa si era rivolta ai carabinieri del Nucleo investigativo consegnando il file audio di una conversazione con una collega. Nella registrazione si sentiva la docente parlare di irregolarità.

Le firme degli alunni

Poi sono arrivate le conferme di un’altra professoressa che fece emergere un altro filone di indagine, quello sulla presunta truffa nella gestione dei corsi extra scolastici. Disse che era un’abitudine raccogliere le firme di presenza dei ragazzi che in realtà disertavano i progetti organizzati dalla scuola. Senza presenze non sarebbero arrivati i finanziamenti. Ci sono altre persone indagate, fra personale docente e amministrativo.

Di fondi europei ne sono arrivati parecchi nella scuola di uno dei quartieri più difficili della città. I titoli progetti promettevano bene: “Giochiamo insieme divertendoci e imparando”, “Voglio andare in biblioteca”, “Cresco nel rispetto”, “Campioni nella vita e nello sport”.

L’impegno per la legalità

Il punto è che, secondo l’accusa, alle belle parole non sarebbero seguiti i fatti. I corsi sono stati disertati dagli studenti. Per rimediare e incassare i fondi a scuola avrebbero fatto carte false: “Ci metto a tutti presente e vaffanculo?”.

Preside e vice preside avrebbero firmato i fogli di presenza al posto degli studenti. Bisognava fare attenzione, però. Lo Verde invitava Agosta ad essere prudente: “Questo bambino guarda come firma qua… improvvisamente poi impara a scrivere in corsivo… questo non si può guardare…”.

Troppo rischioso: “Io me ne devo andare in carcere per forza?… quindi li togli tutti… li ristampi e li ricarichi tutti… è palese che è la stessa mano che firma”. La mano di un professore e non di un ragazzo, sostiene l’accusa. Gli investigatori avrebbero scoperto una connivenza collettiva all’interno della scuola che porta il nome del magistrato ucciso dalla mafia.


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