“La normativa del Payback sui dispositivi medici è incostituzionale. Calpesta i diritti dei cittadini, in particolare dei fornitori della sanità pubblica, senza alcuna motivazione”. Va dritto al punto Giacomo Guasone, presidente dell’Associazione Siciliana fornitori Ospedalieri (ASFO), che tutela le micro, piccole e medie imprese che si occupano di forniture della sanità pubblica.
Dito puntato sulle misure del Governo che scaricano sulle aziende la responsabilità dello sforamento del tetto di spesa degli anni 2015-2018 per due miliardi. In pratica, per le eccedenze di prodotto regolarmente consegnate alle strutture, ora lo Stato chiede che siano i fornitori a pagare.
La battaglia adesso si gioca sul terreno della sospensione dei termini di pagamento in scadenza il 30 giugno. “Abbiamo chiesto al governo siciliano di congelare i termini per un anno, in attesa che sulla faccenda si pronunci la magistratura amministrativa, ci sono più di mille ricorsi al Tar del Lazio da parte delle aziende”.
Del resto quella del Payback è una storia all’italiana. “È stato candidamente ammesso – spiega Guasone a LiveSicilia – che la norma andava fatta per mettere ordine nei conti ma che era priva dei decreti attuativi e quindi inefficace perché nessuno si sarebbe presa la briga di emanarli. E invece adesso le conseguenze delle scelte politiche, a prescindere dai colori, ricadono sui cittadini”.
E per le imprese un rischio reale all’orizzonte, quale?
“Trattandosi di una spesa onerosa non preventivata molte aziende rischiano di chiudere. E questo creerebbe una reazione a catena che riguarda tutti. Il mondo delle forniture è fatto di micro, piccole e medie aziende presenti capillarmente. Un’ improvvisa mancanza di fornitori interromperebbe l’approvvigionamento di beni indispensabili per la gestione della salute dei cittadini negli ospedali”.
Cosa vi aspettate dal governo?
“Sappiamo bene che è difficile cancellare d’en plein la norma. Chiediamo che la si riveda perché stravolge il sistema e disincentiva gli investimenti sul nostro mercato. A livello regionale, come qualcuno ha già fatto, di sospendere ogni decisione di incasso fino a che non si definisce la posizione da un punto di vista tecnico-giuridico. Sta al TAR darci qualche risposta, speriamo in tempi brevi”.
Qual è la situazione in Sicilia?
“Tra i fornitori c’è un grandissimo allarme. Sono coinvolti i più importanti che forniscono dispositivi salvavita. E le aziende, se la regione non ci concede questa proroga dei termini, si ritrovano un problema economico enorme, dovrebbero pagare milioni di euro che non hanno”.
Avete fatto due conti?
“A livello siciliano sono circa 37 milioni di euro su 400 aziende. E questo solo per il periodo 2015-2018. Poi, per il 2019-2020-2021-2022 si parla di cifre più che doppie. Qui è in gioco il destino della sanità pubblica. Un problema essenzialmente politico anche a prescindere dalla questione, il tema del futuro dell’assistenza esiste anche prima del Payback”.
Ma voi siete solo dei fornitori, chiedete di dire la vostra anche sulla programmazione?
“Abbiamo già risolto problemi difficili in Regione quando siamo stati convocati ai tavoli tecnici, perché bisogna affrontare le questioni prima che degenerino. Bisogna sedersi, discutere, essere considerati come partner della sanità pubblica e non essere guardati con pregiudizio. Conosciamo le difficoltà perché lavoriamo per la sanità pubblica, vogliamo difenderla o mandare avanti quella privata? E vogliamo difendere i posti di lavoro del settore delle micro-piccole medie imprese o lasciare campo libero solo alle multinazionali?”