Pd in cerca di identità dopo il flop |Laudani fa autocritica e rilancia - Live Sicilia

Pd in cerca di identità dopo il flop |Laudani fa autocritica e rilancia

Il responsabile organizzazione non lesina critiche anche alla modalità di accesso al partito degli ex articolisti. "Metodo sbagliato".

L'ANALISI DELLA SCONFITTA
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CATANIA – Referendum, l’analisi del voto di Francesco Laudani. Il responsabile provinciale organizzazione del Pd, a bocce ferme, traccia il quadro complessivo del risultato referendario. Laudani fa autocritica e veste i panni del pontiere in una fase che si annuncia complessa. Le acque sono più che agitate in casa dem e il rischio di farsi prendere la mano da “rese dei conti” intestine c’è. Ma per ricostruire una comunità politica serve un’idea chiara di partito. E in vista del congresso serve soprattutto chiarezza.

Chiudiamo per un attimo la fase rottamatrice e ripeschiamo un vecchio arnese tanto utile: l’analisi della sconfitta. Che cosa avete sbagliato?

Che ci siano stati elementi che hanno suscitato una reazione da parte dell’elettorato è indubitabile. Lo stesso Renzi, la sera delle dimissioni, aveva fatto esplicito riferimento a errori commessi. Io, però, colgo un elemento di grande positività dalla tornata referendaria: un risveglio civico, una ritrovata passione, una voglia di manifestare il proprio pensiero che negli anni sembravano sopiti. Costituiscono un risultato straordinario. Sette persone su dieci che vanno a votare per un quesito referendario sono comunque un gran bel segnale incoraggiante e in controtendenza.

 C’è tanta voglia di partecipazione?

Assolutamente sì, contrariamente a quello che sembrava essere negli ultimi anni.

Il Pd fa ancora i conti con il paese reale? Penso ai dati Istat pubblicati all’indomani del referendum.

Ritengo che l’analisi del voto dovrà essere fatta con grande realismo e partendo da un atteggiamento autocritico, ma bisogna essere intellettualmente onesti e ricordarsi il punto di partenza; e questo riguarda tutti i livelli di governo nazionale, regionale e degli enti locali. Se da un lato va condotta una profonda autocritica, dall’altro lato bisogna ricordare come eravamo messi durante il governo Monti, che proprio al Pd arrecò un notevole danno in termini elettorali. Si era infatti chiusa la parentesi berlusconiana, con l’Unione Europea che era intervenuta in merito alla situazione che viveva il Paese, con lo spread a seicento punti e una serie di eventi e circostanze che consegnavano il quadro di un paese in grandi difficoltà. E’ indubitabile che il governo Renzi abbia dato vita a una stagione di riforme. Ci sono stati dei segnali importanti in materie fondamentali e delle quali non si può non essere orgogliosi da cittadini e da elettori di centro-sinistra.

Veniamo a Catania dove il No ha stravinto con percentuali da capogiro. Il sindaco Bianco forse ha un po’ minimizzato il risultato referendario. Solo un voto di pancia o anche il Pd qui a Catania ha avuto qualche responsabilità?

Dissentirei non tanto dal sindaco Bianco, ma da coloro che hanno fornito delle analisi sull’esito referendario a mio parere soltanto parzialmente corrette. Gli italiani non possono essere un popolo virtuoso quando votano noi e poi essere popolo bue quando poi votano difformemente. Bisogna sempre portare il massimo rispetto ai cittadini-elettori e proprio per questo nel momento in cui si apprezza la voglia di partecipazione non si può poi non prendere atto di un risultato tanto netto a Catania. Ma anche dove ci si aspettava una forte affermazione del Sì, come ad esempio in Campania, questo non è avvenuto. Quindi legare l’esito referendario a un contesto locale non mi pare corretto.

Però sembra esserci un problema di periferie e di radicamento territoriale. Quanto può durare il partito dei big e degli onorevoli? E’ troppo novecentesco immaginare di ripescare l’idea del partito dei circoli che vive nei territori?

Mi rifaccio a un documento che Fabrizio Barca ha sottoposto ai vertici e agli organismi del partito. Un documento secondo me molto apprezzabile che parte da un lavoro di ricognizione sul territorio. E’ indubitabile che il partito si debba ristrutturare e non essere soltanto il “braccio armato” in occasione di iniziative nazionali e territoriali. Il partito deve tornare un luogo di confronto e di analisi politica ma ancor prima una fucina di idee e di classe dirigente. Gli eletti sono una parte sicuramente importante del partito; non trovo affatto “novecentesco” partire dal territorio. Anzi è proprio il territorio che ha il termometro delle varie realtà delle quale può farsi portavoce.

Parlando di Catania non posso non chiederle di Enzo Napoli, che doveva essere un segretario di sintesi e invece nel Pd le lacerazioni sembrerebbero essersi acuite. E’ d’accordo? Può tracciare un bilancio dell’operato del segretario?

Ricordo che Enzo Napoli fu commissario in una fase molto delicata. Poi si provò a dare vita a un congresso, ma dopo un periodo di profonde lacerazioni prevalse lo spirito unitario e si scelse la continuità con Enzo Napoli. Sarebbe ingeneroso attribuirgli delle responsabilità oltremodo gravose. E’ vero che fino ad ora il Pd tende ad essere il partito dove è forte l’ascendente dei deputati e quindi il segretario spesso si attiene a questa logica rischiando di doversi appiattire troppo sui desiderata di una maggioranza o comunque di non introdurre elementi di eccessiva fibrillazione.

Però anche il vice segretario Torrisi si è pronunciato per il No e non ha lesinato critiche al segretario pur facendo parte della stessa segretaria.

Questo ci sta benissimo. Un partito è anche un luogo di confronto e di scontro dialettico. Nutro il massimo rispetto anche per chi ha posizioni diverse dalle mie e comprendo parte delle critiche mosse. Se il partito catanese riuscirà a determinare una nuova stagione questo avverrà solo se, sia chiaro a tutti, il segretario, chiunque esso sia, dovrà essere una figura a cui è riconosciuta una facoltà di esercitare unicamente il rispetto delle regole e dello statuto senza essere diretta espressione di una parte del partito. Altrimenti questo avvitamento si riproporrà inevitabilmente.

Il segretario dovrà essere il segretario di tutti, insomma.

Di tutti e rispettato da tutti, a partire dagli eletti.

C’è stata una profonda lacerazione all’interno di una comunità politica. Che clima si respirava durante la campagna elettorale tra i militanti?

Lei utilizza il maniera appropriata il termine lacerazione. E’ stato un momento che ho vissuto con grande travaglio ma grande rispetto. Sbaglia, secondo me, chi oggi sostiene che non ci siano state delle sensibilità diverse o chi sostiene che la comunità democratica sia stata monoliticamente posizionata sul Sì. Io ripartirei da questa stagione che ci trasmette un grande insegnamento. Il Pd è l’unico vero partito rimasto, composto da un popolo di donne e uomini che mantengono una grande passione e una grande partecipazione. Un partito così complesso non può che essere plurale. Questo non vuol dire che non ci siano regole da rispettare, però a me piace l’idea di un partito che si confronti e che su alcune materie possa anche lasciare su tematiche come quella costituzionale un voto secondo coscienza. Mi appassiona meno l’idea di un partito-caserma viene diramata una linea e quella va seguita pedissequamente a tutti i livelli  territoriale senza la minima possibilità di dibattito. Anche la vicenda referendaria, se affrontata con un metodo diverso, avrebbe ottenuto risultati a mio giudizio differenti.

Secondo lei tutte le componenti del partito hanno profuso lo stesso impegno in campagna elettorale?

Non tocca a me stare lì con il misurino a vedere chi si è battuto più o chi meno. Ritengo che il partito tutto si sia speso in una battaglia di straordinaria importanza. Ho registrato impegno e iniziative da parte di ogni area.

Dall’esterno si ha un po’ la sensazione che i nuovi ingressi degli ex Articolo 4 abbiano creato più di un problema. Per caso sono considerati una specie di corpo estraneo nel partito?

La sorprenderò ma secondo me la gestione della vicenda Articolo 4, che ha interessato loro ma domani potrebbe interessare altri, è stata gestita con modalità che avremmo gradito fossero diverse. Immagino che oggi anche gli onorevoli Sammartino e Sudano stiano iniziando a capire che il problema non è tanto di una comunità che non accetta nuovi elementi, ma che i malumori sono stati acuiti dal metodo utilizzato. C’è un precedente. Prima delle regionali gli organismi di partito, regionali e provinciali, furono consultati più e più volte prima di accettare o meno le candidature di Anthony Barbagallo e  Daniele Capuana. Il fine fu raggiunto, ma con una grande partecipazione e un forte coinvolgimento degli organismi dirigenti, a differenza di quanto è avvenuto in questa vicenda. Peraltro, come direzione provinciale, avevamo approvato all’unanimità un documento che non era affatto esclusivo. Dicevamo in sostanza che il partito era aperto e si poteva valutare l’opportunità di accettare nuovi ingressi ma passando per gli organismi dirigenti. Questo non è avvenuto con i colleghi ex Articolo 4.

Le faccio una domanda provocatoria. Sta per caso rimpiangendo la segreteria di Luca Spataro?

Nutro la massima amicizia nei confronti di Luca, ma non è questa la stagione dei rimpianti. Sono momenti politici molto diverse. Il Pd in questi ultimi anni ha assunto responsabilità di governo a tutti i livelli e in una fase storica in cui governare è complicatissimo perché ci sono due fattori inversamente proporzionali: l’aumento del disagio economico e sociale e per contro la diminuzione delle risorse.

Presto si aprirà la stagione congressuale.  A livello nazionale immagino si auspichi un modo di procedere che non tenga fuori nessuno. A Catania sarà così o si va verso una “sorta di resa dei conti”? Lei lavorerà perché questo non accada?

Assolutamente sì. Assecondare pulsioni belligeranti e punitive nei confronti di colleghi di partito è la cosa più sbagliata che si possa fare oggi. Mi auguro che proprio dal congresso nazionale, invece, si sappia dare dimostrazione che il partito ha capito il risultato referendario e sappia fare quadrato attorno alla propria comunità e alla propria classe dirigente cercando momenti di vero confronto nei quali alcune cose vengano discusse senza atti fideistici. Oggi come non mai, partendo da un’analisi autocritica occorrono capacità di ascolto che portino a riattivare canali di dialogo interno ed esterno, in quest’ultimo caso con il coinvolgimento delle parti sociali, dei corpi intermedi e del sindacato. Renzi, dopo il voto, ha fatto un esplicito riferimento a quali errori non vanno più commessi.

E lo farete anche voi a livello provinciale?

Dovrà essere così. Se la politica diventa una conventio ad excludendum o continua a mostrarsi autoreferenziale fa il più grave degli errori e spalanca la porta a un’affermazione del Movimento Cinque Stelle.

 


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