Mentre la Sicilia vive un distacco crescente dalla politica, con un astensionismo da paura (nelle ultime elezioni regionali i votanti sono scesi sotto la soglia del 50%), il Pd siciliano che fa? Litiga come non mai, faticando parecchio ad offrirsi quale valida alternativa al centrodestra, a causa delle aspre divisioni interne che minacciano di alienare ulteriormente l’elettorato.
Divisioni interne che in piena stagione congressuale, che si è conclusa con la riconferma del segretario regionale uscente Anthony Barbagallo, unico candidato, hanno prodotto scontri accesissimi, anche tra gruppo parlamentare all’Ars e segreteria, pioggia di ricorsi agli organismi di garanzia – a loro volta inevitabilmente contagiati dal clima di conflitto permanente – dimissioni a catena.
A che serve un congresso?
Noi qui non ci addentreremo nel fitto groviglio delle correnti del Pd siculo e nel corposo (e ormai inutile) carteggio a firma dei litiganti tra Palermo e il Nazareno, però una domanda sorge spontanea: che senso ha tutto ciò?
Un congresso, chiediamo, serve per presentarsi all’opinione pubblica, ai potenziali elettori (quindi, non solo agli iscritti) con un programma per il governo della Regione e una leadership inclusiva e condivisa o per sistemare gli equilibri di potere in casa.
Il punto della questione sembra chiaro, lo abbiamo scritto ripetutamente nel passato su Livesicilia: ci si vuole rivolgere al purtroppo ampio popolo degli astensionisti e al cittadino non necessariamente schierato in maniera credibile e unitaria o ci si accontenta delle percentuali da zoccolo duro sufficienti a eleggere i soliti noti?
Il rischio irrilevanza
Nel secondo triste scenario si è condannati a una perenne irrilevanza. Importa oppure il singolo deputato, dirigente o aspirante tale coltiva esclusivamente il personale orticello?
Ci sono momenti, e probabilmente siamo in presenza di uno di questi, in cui il legittimo dibattito sulle idee, che comunque non deve andare mai oltre, appunto, un legittimo dibattito sulle idee tanto da trasformarsi in una guerra distruttiva tra fazioni, deve cedere il posto a uno sforzo collettivo affinché il gruppo dirigente, che deve operare nel modo meno divisivo possibile, le diverse ‘anime’ del partito e la base possano imprimere una sterzata decisa prima di rischiare di precipitare nel burrone.
Insomma, al di là dell’esito del congresso tutti dovrebbero fare un passo indietro per lavorare insieme a un’immagine e a una sostanza migliore del partito. Nell’interesse della democrazia e della Sicilia. Non è un’opzione, è un dovere.