Le accuse cadono per prescrizione e una ipotesi nel merito. Si chiude il processo nei confronti dell’ex vescovo di Trapani, Francesco Miccichè, accusato di peculato. La sentenza è del tribunale presieduto da Franco Messina.
L’accusa al vescovo Micciché
Secondo l’accusa, il presule avrebbe fatto “dirottare 400mila euro dell’8 per mille” della Chiesa cattolica “in un conto corrente della diocesi, a cui Miccichè accedeva senza la necessità di rendicontazione”.
La Procura aveva chiesto la condanna a quattro anni e sei mesi di reclusione. La diocesi di Trapani si era costituita parte civile con l’avvocato Umberto Coppola.
Gli episodi contestati sarebbero stati commessi dal 2007 al 2012. Nel 2012 monsignor Miccichè venne rimosso da Papa Ratzinger dopo l’ispezione eseguita dal ‘visitatore apostolico’, l’allora vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, e dopo l’indagine condotta dalla guardia di finanza.
Per il reato di peculato relativo ad un prelievo di duemila euro avvenuto nel 2012 è arrivata l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”.
La difesa
“Siamo soddisfatti perché è stato dimostrato che il vescovo Micciché non si è appropriato di denaro”, spiega l’avvocato Mario Caputo che guidava il collegio difensivo assieme ai colleghi Francesco Troia e Nicola Mocera.
I legali erano certi di avere dimostrato che Micciché non avesse avuto alcuna responsabilità neppure per gli altri prelievi sulla base di una consulenza tecnica. Anche perché l’imputato non avrebbe svolto il compito di economo.
Per i fatti più vecchi, e più pesanti dal punto di vista economico, è intervenuta la prescrizione. “Valuteremo se rinunciarvi dopo avere letto le motivazioni. Abbiamo dimostrato l’innocenza del vescovo punto per punto grazie al nostro consulente tecnico Gianfranco Scimone, ma prendiamo atti del non doversi procedere per intervenuta prescrizione”, dice l’avvocato Caputo.