Per voce sola - Live Sicilia

Per voce sola

Paolo Borsellino e la memoria

Una serata (anzi due) per la memoria.

Il ricordo di Paolo Borsellino
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4 min di lettura

PALERMO- Fuori c’è una città che si racconta benissimo da sola. Ci sono ragazzini che giocano a pallone tra i vicoli, a petto nudo. Secondo consuetudine folcloristica: macerie e splendore. Affascinante se sei in visita, terrificante se ci vivi. E’ Palermo profondissima, stretta alla crosta sottile che la sostiene, rischiando di rompersi da un respiro all’altro.

Dentro c’è la voce di Paolo Borsellino. Cristallizzata e sfuggente. La stessa voce che il 25 giugno del ’92 annunciò la prossima strage, in diretta, nascondendo l’orrore. Era un timbro impastato, roco, da fumatore incallito. Non si rende bene l’idea soltanto a rileggerle le ultime parole del giudice. Eppure è giusto riportare in superficie alcuni pezzi del discorso, del famoso discorso dell’atrio della biblioteca comunale.

“Avendo raccolto io, più o meno come altri amici di Giovanni Falcone, tante sue confidenze, prima di parlare in pubblico delle mie valutazioni su di esse, ne voglio parlare in sede di autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possano servire a mettere luce all’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone…

…Ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il Paese, lo Stato, la Magistratura – che forse ha più colpe di ogni altro – cominciò proprio a farlo morire il primo gennaio del 1988, se non forse l’anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando, cioè con quell’articolo di Leonardo Sciascia sul “Corriere della Sera” che bollava me come un professionista dell’Antimafia e l’amico Leoluca Orlando come professionista dell’Antimafia nella politica…

…Ecco perché, forse ripensandoci, quando Caponnetto dice che Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988, ha proprio ragione, anche in riferimento all’esito della lotta che Giovanni Falcone fece per continuare a lavorare”.

Pezzetti sparsi. La cronaca lucida e disperata di un servitore dello Stato che aveva visto tutte le difese crollargli intorno e addosso, con la macellazione di un amico a Capaci.

Ventuno anni dopo, fuori c’è Palermo, in una serata sovrapponibile. Ed è sempre Palermo. Dentro c’è il sindaco Orlando che scopre una targa, per consacrare l’atrio alla memoria di un uomo che ora tutti, pure i suoi acerrimi critici, chiamano ‘Paolo’. Ci sono Manfredi e Fiammetta, i figli, con una schiera di nipoti che corrono su e giù per lo spazio, beatificando l’ufficialità della cerimonia con la grazia di  cascate di risate infantili. Sul palco, i volontari di ‘Cittadinanza Attiva per la magistratura’ hanno organizzato vari momenti che culminano con un dibattito, alla presenza dei pm Nino Di Matteo e Nico Gozzo, del giudice Giovanbattista Tona, degli avvocati Fabio Lanfranca e Fabio Repici. Non c’è Salvatore Borsellino, assente perché ricoverato con la polmonite al Policlinico.

Quello che si cerca davvero è la voce di ventuno anni fa, per riaccenderla e riascoltarla. Da allora il calco di Borsellino ha percorso, suo malgrado, innumerevoli strade. E’ diventato il santino all’occhiello di una nidiata dell’antimafia, non sempre disinteressata. Ha assunto le sembianze di un club con le iscrizioni aperte. La libera associazione “Amici di Giovanni e Paolo” funziona in servizio permanente effettivo. Per farne parte, non c’è nemmeno bisogno di un’autocertificazione di buona condotta. Ed è gratis.

Il patrimonio di un magistrato perbene è stato conservato dalle persone migliori, con sobria venerazione, ma si è trasformato in una rendita per tanti. Curioso come l’uso del marchio ‘Borsellino’ sia smodato e perfino contraddittorio. Viene messo in campo per sostenere la magistratura o per denigrarla, a seconda di gusti e bisogno.
E poi ci sono pure due manifestazioni nello stesso luogo laico e sacro. Una fino alle nove di sera, la successiva a seguire. “Ventun anni di impegno” e “Voci per la giustizia”. Una scomposizione che molti convenuti – all’uno o all’altro convegno – non hanno ben compreso.

Ci sono i ricordi, appunto, sollecitati dagli interventi sul palco. Nico Gozzo, rispondendo a una domanda, parla a fatica di Agnese che non c’è più. Di un rapporto delicato e particolare che è problematico descrivere. Nino Di Matteo e Giovanbattista Tona si confrontano sul tema della verità. Interessa sul serio dopo tanto tempo? Entrambi esprimono perplessità con gradazioni svariate di pessimismo. Gli avvocati legano passato e presente in una analisi cruda, con qualche spiraglio aperto alla speranza.

Nino Di Matteo dice la sua sul ‘caso Ingroia’. Elogia il collega che fu, al netto dell’abbandono della toga. Circoscrive la questione del Csm: “La magistratura ha la necessità di liberarsi dalle sue appartenenze sull’autogoverno”. Sullo sfondo, la celebre ‘Trattativa’ che ha spaccato l’opinione pubblica, tra fautori della colpevolezza dello Stato e difensori della sua innocenza. Spesso a prescindere.

Ma è la voce di Paolo Borsellino che si attende, come il miracolo del sangue di San Gennaro. Il prodigio di un martirio laico. Non frequenza registrata, non riproposizione. Il suono autentico nel momento stesso in cui fu emesso. Il tema, in fondo, è terribilmente semplice: sapere se quella voce è scampata alla strage, oppure se è rimasta seppellita sotto i calcinacci di via D’Amelio. La sua voce sola. La voce di un uomo solo.

 


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