Delle due l’una: se devi obbligatoriamente svolgere il tuo carico di lavoro, qualunque esso sia e in qualunque modalità, presenza fisica o smart-working – quest’ultima maniera in verità ancora tutta da disciplinare – all’interno delle ore di lavoro contrattualmente previste non hai diritto a ulteriori compensi. Se, invece, si supera l’orario ordinario (36 ore settimanali) perché occorre andare oltre il carico assegnato (per esempio numero di fascicoli da istruire), dentro un progetto contemplato dai contratti collettivi di lavoro e con somme già stanziate allo scopo (salario accessorio) per premiare il surplus di produttività, quindi senza aggravio per le casse regionali, continuando a macinare pratiche di sera dopo cena, nei festivi come il 25 aprile e il 1 maggio, nei sabati e nelle domeniche hai diritto a un appropriato compenso commisurato alla straordinaria produttività. E’ così in tutto il mondo civile e democratico, indipendentemente dai virus e dalle derivanti crisi economiche.
Anzi, auspicabile sarebbe la distribuzione del salario accessorio sempre legato alla produttività e non a pioggia. Soprattutto se lo stipendio, contrariamente a quanto falsamente diffuso, è oggi piuttosto basso per gli assunti da una certa data e per le categorie inferiori. Ed è ciò che sarebbe accaduto con la cassa integrazione in deroga. Non riesco a capire come sia stato possibile anche solo immaginare che i dipendenti regionali si avventurassero a chiedere un tot a pratica per istruire le stesse, quelle assegnate, nelle ordinarie 36 ore di lavoro settimanale, andando automaticamente incontro non solo alla pubblica lapidazione ma pure alla probabile contestazione da parte della Corte dei conti di danno erariale con inevitabile restituzione delle somme percepite, con l’aggiunta degli interessi e della rivalutazione monetaria.
Infatti, non se lo sono mai sognato. La realtà è ben diversa da quella rappresentata in malafede o superficialmente da qualcuno, anche dei piani alti della burocrazia e della politica, in vena di dare vittime in pasto all’opinione pubblica, scatenata con insulti irripetibili, per distogliere l’attenzione dai nodi veri del problema, trovando più semplice, e mediaticamente conveniente, scaricare sui dipendenti le carenze di una macchina regionale vecchia, lontana dai bisogni collettivi, farraginosa, sprovvista di strumenti informatici e di collegamenti alle grandi banche dati degni di tal nome.
Nonostante l’abnegazione della maggioranza degli impiegati di ogni qualifica, il più giovane dei quali ha forse 52 anni, spesso costretti a portarsi pure carta e sapone da casa. Le pratiche per la concessione da parte dell’INPS della cassa integrazione in deroga sono state esaminate a partire dal 20 aprile, di corsa, perché solo allora è stata consegnata ai centri per l’impiego la piattaforma informatica, per giunta non in grado di dialogare subito con quella dell’INPS provocando quei ritardi, ora colmati, che hanno giustamente indignato gli aventi diritto in gravi difficoltà economiche per il lockdown da Covid-19.
Intanto, non si conoscono esattamente le ragioni, si è dimesso il dirigente generale dell’Assessorato Regionale Lavoro Giovanni Vindigni dopo un colloquio riservato con il presidente Musumeci. La questione è, però, ben più ampia. O si mette mano a una riforma seria dell’amministrazione regionale – cominciando dall’alta burocrazia sovente occupata da dirigenti scelti per appartenenza partitica e fedeltà al potere politico – innovando l’attrezzatura e le procedure informatiche, assumendo personale dotato di nuovi saperi, reinventandosi modalità di lavoro diverse dall’accertamento fiscale della presenza fisica (paradossalmente il coronavirus ci può aver dato una mano), riducendo e semplificando i procedimenti amministrativi, garantendo il diritto alla carriera per i migliori (e “degradando” gli scarsi e i fannulloni) oppure si andrà a fondo con inefficienze, storture, ingiustizie, corruzione.
In una parola, l’amministrazione pubblica deve essere un riferimento affidabile per le famiglie ed economicamente conveniente per il lavoro autonomo e le imprese, non soltanto durante un’emergenza sanitaria. Di solito, si rivela un inciampo.
C’è un ultimo punto. La Regione si deve riappropriare della propria funzione originaria di indirizzo, coordinamento, programmazione e controllo. Lo impone l’assetto costituzionale. Affronteremo il tema in un prossimo articolo. Non è normale che la macchina burocratica regionale si consumi e disperda in attività istruttorie e di elargizione di contributi e finanziamenti ricorrenti o spiccioli che dovrebbero essere assicurate da comuni, città metropolitane e liberi consorzi. Quando e chi provvederà?