Processo Cavallotti, battaglia della difesa anche se i beni "sono morti"

Processo Cavallotti, battaglia della difesa anche se i beni “sono morti”

I legali contestano l'operato degli amministratori giudiziari e chiedono di acquisire una serie di documenti

PALERMO – “Stiamo facendo un processo su dei beni morti. Tanto vale confiscare tutto, malgrado siamo sempre stati certi delle nostre ragioni. Delle aziende restano le macerie e i debiti ”, aveva detto nei mesi scorsi a Livesicilia, provocatoriamente, l’avvocato Rocco Chinnici.

Oggi il legale ha prodotto una serie di documenti non solo per chiedere la conferma della restituzione, decisa in primo grado, dei beni gli imprenditori Cavallotti di Belmonte Mezzagno, ma anche per spiegare che dietro il fallimento delle aziende ci sarebbe la responsabilità degli amministratori giudiziari.

Tra le imprese dissequestrate in primo grado c’è anche la Euroimpianti, la società che fece scattare il sospetto di infiltrazioni mafiose nel colosso Italgas. Italgas fu affidata agli amministratori giudiziari dal collegio per le misure di prevenzione di Palermo presieduto da Silvana Saguto, condannata a Caltanissetta e radiata dalla magistratura.

Gli amministratori – Andrea Aiello, Luigi Saporito, Sergio Caramazza e Marco Frey – tabella delle tariffe alla mano avevano chiesto una parcella da 120 milioni. Alla fine, il nuovo collegio delle Misure di prevenzione, presieduto da Raffaele Malizia, ha tagliato in maniera drastica le pretese, liquidando poco più di un milione di euro.

L’Italgas venne sottoposta a questa procedura a causa delle presunte infiltrazioni mafiose per via di alcuni sub appalti assegnati agli imprenditori, assolti in sede penale, ma sottoposti a una misura di prevenzione. Per recidere questi rapporti il collegio Saguto, su proposta della Procura della Repubblica, decise di sottoporre il colosso nazionale prima alla amministrazione di un comitato di saggi da loro scelti e poi al controllo giudiziario per tre anni. Il controllo giudiziario fu revocato dopo un solo anno nel 2016 dalla Corte d’Appello.

Nel 2019 Tribunale per le misure di prevenzione ha confiscato i beni ai fratelli Cavallotti, bocciando le nuove prove presentate dalla difesa, ma ha dato ragione agli eredi. I loro beni sono stati tutti dissequestrati, vincendo una battaglia giudiziaria che va avanti dal 2011. “Fateci lavorare”, dissero in una intervista rilasciata a Livesicilia nel 2014, prima che scoppiasse lo scandalo delle Misure di prevenzione.

I fratelli Vincenzo, Salvatore Vito e Gaetano Cavallotti finirono sotto processo. Il reato di turbativa d’asta fu dichiarato prescritto, mentre arrivò un’assoluzione piena e nel merito dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo il collegio d’appello, non era stata raggiunta la prova della loro colpevolezza, ma erano emersi elementi che ne tracciavano la contiguità con i boss Ciccio Pastoia e Benedetto Spera, fedelissimi di Bernardo Provenzano, grazie ai quali avrebbero ricevuto alcune importanti commesse. Tanto bastò per sottoporli a misure patrimoniali e personali perché ritenuti “socialmente pericolosi”.

Tra le imprese finite sotto sequestro e poi confiscate c’erano la Comest e la Imet, citate nella corrispondenza di Provenzano per il pagamento del pizzo per i lavori di metanizzazione nei comuni di Agira e Centuripe. In un altro pizzino era Giovanni Brusca a scrivere a Provenzano per affrontare il tema della messa a posto dell’impresa dei Cavallotti che stava realizzando la metanizzazione a Monreale.

Finite sotto sequestro e in confisca la Imet e la Comest, i tre fratelli, secondo l’accusa, avrebbero dirottato i loro interessi sulle imprese intestate fittiziamente a figli e nipoti. Ed è questa impostazione che non ha retto l’anno scorso ed è arrivato il dissequestro.

Gli eredi dei fratelli Cavallotti sono rientrati in possesso delle imprese Euroimpianti plus, Tecno Met, Energy Clima Service, 3C Costruzioni, Eureka, Vmg Costruzioni e Servizi, Prorison e tutti i relativi beni aziendali. La sola Euroimpianti ha debiti che superano i 10 milioni di euro, maturati durante l’amministrazione giudiziaria, ed è stata messa in liquidazione. Ecco perché l’avvocato Chinnici, nel collegio di difesa assieme agli avviocati Salvino Pantuso, Patrizia Aucelluzzo, Luca Inzerillo e Saro Lauria, perché parla di un processo sui “beni morti”.

Contro il dissequestro la Procura ha fatto appello. Il caso Cavallotti è finito al centro dell’intricata matassa che ha portato al processo e alle pesanti condanne di Caltanissetta. In particolare si fa riferimento alle conversazioni dell’inchiesta in cui Saguto diceva: “Se ci annullano i Cavallotti per esempio, qua succede un casino. Abbiamo preso l’Italgas… Cavallotti è ancora ferma in Cassazione. Ed è la base da cui siamo partiti, quindi considera che cosa potrebbe succedere… quindi noi dobbiamo essere blindati”.

Ascoltando queste parole Pietro Cavallotti, uno degli eredi a cui sono stati ridati i beni, parlò di “processo farsa, in cui l’esito era stato scritto all’inizio del processo”.

Ora, in appello, il collegio di difesa, ha chiesto la produzione di una serie di atti per contestare la gestione dei beni Cavallotti da parte di Andrea Aiello e Andrea Modica De Mohac (tra i documenti di cui è stata chiesta l’acquisizione c’è una recente condanna di primo grado nei confronti di Modica De Mohac a restituire tre milioni e 300 mila euro a un impresa gestita dall’agenzia nazionale per i beni confiscati) e sostenere che i sequestri delle aziende sono partiti anche dalle segnalazioni dei due amministrazioni.

ll 13 settembre la Corte deciderà se acquisire la documentazione e poi dovrebbe esserci la requisitoria del procuratore generale.


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