PALERMO – “Con questa norma abbiamo superato il conflitto istituzionale con lo Stato”. Così Rosario Crocetta commentava l’ultima approvazione della riforma delle Province. E invece il conflitto c’è ancora. Eccome. Con una lettera molto breve ma chiarissima, infatti, inviata al governatore siciliano, il sottosegretario per gli Affari regionali Gianclaudio Bressa ha precisato che non potrà essere ritirata “l’impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale” presentata dal governo nazionale. Il “punto” sul quale non c’è ancora un accordo è quello che è apparso a molti come un “capriccio” del presidente.
Si tratta, in pratica, della norma che disciplina l’individuazione del sindaco delle Città metropolitane. Nel resto d’Italia, infatti, la riforma Delrio ha sancito la corrispondenza tra il sindaco metropolitano e il sindaco del Comune capoluogo. La Sicilia invece ha deciso diversamente, scegliendo di eleggere quella figura attraverso elezioni di “secondo livello”. In pratica, i sindaci dei Comuni che ricadono nell’area metropolitana voteranno per l’elezione del “sindaco metropolitano” attraverso il voto ponderato: il valore di ogni voto, insomma, è proporzionale alla cittadinanza rappresentata. Una mossa che escluderebbe l’automatico arrivo nel ruolo di sindaco metropolitano di Leoluca Orlando ed Enzo Bianco. Una posizione fortemente voluta dal presidente Crocetta, ma approvata anche da Sala d’Ercole, dove diversi deputati sarebbero d’accordo nel prevedere questo meccanismo difforme dal resto d’Italia.
Solo su questo punto, quindi, la Sicilia si è discostata dalla legge Delrio e dall’impugnativa di Roma. Ignorando i rilievi del governo nazionale, pur non decidendo di sollevare la questione di fronte alla Corte costituzionale. “Non credo sia incostituzionale – assicurava Crocetta dopo l’approvazione della legge all’Ars meno di un mese – tra l’altro la scelta dell’Assemblea va rispettata. Penso che sia più costituzionale il voto, anche se di secondo livello, del non voto. D’altronde col voto ponderato i sindaci dei capoluoghi sono più favoriti”. La pensa diversamente Bressa, cioè il governo Renzi: “Preso atto delle modifiche apportate alla legge della Regione Sicilia”, scrive il sottosegretario, “appare tuttavia, che le disposizioni riportate all’articolo 13 della legge regionale numero 15 del 2015, parzialmente modificato dalla legge regionale numero 5 del 2016, non risultano esaustive”. Insomma, l’ultima modifica della legge approvata in estate (quella impugnata), insomma, non è sufficiente. E Bressa fa riferimento in particolare alla norma della Delrio “che prevede che il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo. Stante il permanere di tale contrasto, – aggiunge Bressa – appare evidente che non possa essere soggetta a rinuncia la impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale presentata dal Governo sulla legge della Regione Sicilia” nella parte, appunto, riferita al sindaco metropolitano.
Adesso bisognerà comprendere le conseguenze di questo atto. La legge regionale, così com’è, è destinata a essere oggetto di un contenzioso con la Consulta. Una legge, quindi, che oggi appare provvisoria. La seconda ipotesi è quella di un ritorno in Aula, per la terza (!) versione di una riforma che si è presto trasformata in un flop clamoroso. Comunque vada, l’atteggiamente del governo rischia di complicare i rapporti con lo Stato. Da Roma dovrebbero arrivare i finanziamenti in grado di salvare i bilanci di enti sull’orlo del dissesto e commissariati da tre anni. Ma tutto rischia di saltare in aria un’altra volta. Per un capriccio.