"Quell'ultimo respiro leggero, così Fratel Biagio si è addormentato"

“Quell’ultimo respiro leggero, così Fratel Biagio si è addormentato”

Un altro giorno di emozioni nella camera ardente. Luciano, Claudia e Paul.

Luciano non vuole essere fotografato: “La persona importante non sono io, è Biagio”, così si schermisce. Ma lui è un uomo dal cuore immenso, nel cuore di questa immensa storia. Era al capezzale di Biagio Conte, nell’istante del suo addio terreno. Lo abbiamo già incontrato, Luciano. Aveva un lavoro, una casa, una vita piana, nella sua San Cataldo. Poi, vide una figura con il saio e con i sandali. E lasciò tutto. Ha una barba immacolata, uno sguardo da bambino buono e un crocifisso poggiato sul petto.

“Erano le sei e quarantacinque di giovedì – racconta questo omone che conserva i sogni intatti negli occhi – e c’è stato l’ultimo respiro di Biagio, un respiro leggero: si è spento con dolcezza, come una candelina. Ero lì, dalla notte. Lui, poco prima, si era girato un poco nel letto. Poi, quel respiro. Ho capito, ho dato un’occhiata all’orologio e ho avvertito gli altri. Fratel Biagio si era addormentato, era andato in pace”.

Quanti abbracci ci sono stati, anche oggi, nella Missione di via Decollati, nel continuo viavai che sgocciola all’interno della camera ardente. L’abbraccio tra l’ex premier Giuseppe Conte, in visita, e Paul, il migrante che ha paura di non potere costruire il suo futuro a Palermo e piange, ora che il suo amico che digiunò per lui non c’è più. Gli abbracci per una signora in carrozzina, colta dalla profonda commozione. Un abbraccio per un’altra signora che è apparsa, in via Decollati, nella salita, sostenuta dalle sue stampelle, un passettino alla volta, un sospiro alla volta. “Vuole un aiuto per arrivare lassù? Facciamo scendere una macchina?”. “No, grazie, vengo ogni giorno per Fratel Biagio. Mi costa tanta fatica, ma Fratel Biagio lo sa che lo faccio per lui, che sono qui per lui”.

Il portone verde si spalanca dalle nove alla sette di sera, per consentire le visite. Giungono in tanti, alla spicciolata, da una specie di galleria con una targa azzurra: ‘Passaggio Gesù di Nazareth’, c’è scritto. Oppure, discendono dalla parte opposta. Il colpo d’occhio su edifici e paesaggio offre una cronaca fin troppo perfetta della città abbandonata che ha trovato riparo in Fratel Biagio e nelle sue pupille azzurro-cielo. Se non ci fosse stato lui, il dolore che abbiamo raccontato per anni non avrebbe ricevuto la carezza di nessuna speranza.

Nella chiesa-camera ardente si vivono emozioni indelebili. Francesco, il medico, accompagna i canti con la voce che si spezza. Tutto intorno, le sorelle vestite di verde e le ragazze della Missione femminile. C’è la spossatezza del dolore, con la voglia di trattenere ancora un po’ il sorriso del ragazzo che, come dopo avrebbe fatto Luciano, decise di capovolgere la sua vita, perché voleva avere mani, soprattutto, per asciugare le lacrime. C’è una tenerezza che, tante volte, abbiamo sentito in questi giorni, senza saperla spiegare, sapendo soltanto che c’è.

A pochi passi, al termine di un corridoio all’aperto, illuminato da un cielo incerto, ecco la stanza in cui Biagio Conte si è addormentato, con il respiro leggero narrato da Luciano. Qualcuno ha potuto stringere le sue mani e accarezzarlo. Tutti sono stati lì, giorno e notte, con il cuore e il pensiero. Qualcuno ha cantato. Tanti hanno pregato. Una stella di Natale è adagiata accanto alla porticina. E verrebbe voglia di spalancarla quella porta per vedere se Biagio, il nostro amatissimo Biagio, è davvero andato via. (Roberto Puglisi)


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