di ROBERTO ALAJMO (www.robertoalajmo.it) La morte di Elvira Sellerio ha portato con sé una zavorra di retorica funeraria, come spesso avviene in questi casi. La modalità tipica della memoria a uso stampa è stata “Io e…”. Ne vengono fuori delle istantanee come quelle che si vedono nelle trattorie caserecce, o nei negozi di barbiere di una volta, dove le pareti erano tappezzate di foto del titolare abbracciato a una celebrità dello sport o dello spettacolo nel cui sguardo si leggeva spesso: e questo chi è?
Nella migliore delle ipotesi, a latere della figura da commemorare, si celebra la propria amicizia e vicinanza. Nella peggiore: la propria sopravvivenza. Il sottoscritto, facendosi forte della propria sostanziale estraneità, vuole aggiungere al sabba della retorica autocentrica una sola considerazione. Elvira Sellerio era donna di intelligenza ostinata e scontrosa. Spesso così è l’intelligenza dei siciliani migliori. Ostinata. E scontrosa. Aveva una sua idea dell’impegno senza ostentazioni. Ha attraversato il meglio e il peggio degli ultimi quarant’anni di Sicilia senza mai cedere alle tentazioni apertamente “politiche”. Viaggiava su binari che appartenevano solo a lei.
Questa, che era la sua migliore prerogativa, era anche il suo limite, il limite di noi siciliani che immodestamente pensiamo di essere migliori: viaggiamo ciascuno sul proprio binario, senza incontrarci mai. Senza nemmeno riconoscerci fra noi, certe volte.