Signore e signori, l'Università... - Live Sicilia

Signore e signori, l’Università…

Le statistiche certificano quello che è sotto gli occhi di tutti. L'Università è in disfacimento. E il conto salato lo pagheremo tutti.

Le idee
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3 min di lettura

Il tema del mio consueto intervento domenicale investe direttamente la mia funzione di professore associato di Malattie dell’Apparato Respiratorio presso l’Università di Palermo. Nei giorni scorsi ho ricevuto presso la mia casella istituzionale di posta elettronica un documento elaborato dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN) sulle “Emergenze del sistema” dell’istruzione terziaria e della ricerca nel nostro Paese. Il rapporto snocciola una serie di dati che lasciano sgomenti coloro che ritengono che lo sviluppo di un Paese si basi sull’attenzione che esso dedica all’istruzione dei propri giovani. In questa sede mi limiterò a fornire solo alcune cifre tratte da un documento che, alla prima lettura, mi ha rievocato il bollettino di guerra dopo la rotta di Caporetto.

Sulla base delle rilevazioni OCSE, l’Italia occupa per spesa in educazione terziaria in rapporto al PIL il 32° posto su 37 Paesi considerati (dati 2009). Il Paese investe appena l’1,0% del proprio PIL nel sistema universitario contro una media UE dell’1,5% e una media OCSE dell’1,6%. Il Fondo di Finanziamento Ordinario, la cifra che lo Stato eroga agli Atenei per sostenere spese correnti che vanno dagli stipendi del personale alle bollette della luce, si è ridotto in termini reali del 20% negli ultimi quattro anni e in qualche Ateneo è inferiore all’ammontare delle spese fisse. La riduzione del contributo pubblico è aggravata dalla contingente difficoltà degli Atenei ad attingere a finanziamenti esterni in un periodo di crisi economica e rischia di aumentare ulteriormente lo squilibrio territoriale tra le varie aree del Paese impedendo a quelle che già scontano un maggiore disagio economico e sociale l’erogazione dei servizi formativi e la promozione delle capacità di ricerca.

Questa tendenza al disfacimento del sistema universitario è riflessa dalle cifre relative ai suoi principali protagonisti: i docenti e gli studenti. L’erraticità delle procedure di reclutamento e la corsa al pensionamento hanno comportato una riduzione del 22% del numero dei professori nel periodo 2006-12. Contro una media OCSE di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7. E ciò ad onta del calo delle immatricolazioni, passate da 338.482 (nel 2003-2004) a 280.144 (nel 2011-2012). La riduzione della popolazione studentesca testimonia, da una parte, il calo di interesse per l’istruzione universitaria e dall’altra, una diminuita capacità di accesso. Tra i diplomati, la percentuale di chi s’iscrive all’Università diminuisce costantemente: dal 68% del 2007-2008 al 61% del 2011-2012, percentuale che pone l’Italia al 25° posto dei Paesi OCSE. In termini di spesa cumulativa per studente, l’Italia è al 16° posto su 25 Paesi OCSE considerati. Inoltre, la riduzione della spesa per il diritto allo studio ha comportato la mancata copertura finanziaria del 25% delle borse di studio per gli aventi diritto. Che l’istruzione costituisca un imprescindibile mezzo di sviluppo della Società e di promozione della Persona è testimoniato dalla Dichiarazione della Commissione UE che, nel progetto strategico Europa 2020, chiede agli Stati membri di raggiungere una percentuale di almeno il 40% di laureati nella fascia di età 30-34 anni. Ebbene, oggi questa percentuale in Italia è solo del 19%, contro una media europea del 30%.

Ho percorso tutta la trafila dell’Università passando dai banchi di aule fatiscenti e sovraffollate dove trovavi posto a sedere solo se ti presentavi un’ora prima dell’inizio della lezione, alla posizione di precario itinerante ricco di sogni ma povero di stipendio, a quelle di ricercatore e infine di professore. Ho assistito a riforme che non hanno riformato, a gattopardismi verniciati con qualche leccatina di “meritocrazia”, a doppi salti mortali favoriti da visibilissime molle sotto le suole. C’è tanto da rivedere nel Sistema Universitario, a cominciare dal come assicurare un futuro ai più dotati tra i nostri allievi. Ma non si può buttar via il bambino insieme all’acqua sporca. Non si può tollerare il silenzio assordante che caratterizza, senza alcuna eccezione di parte, questa chiassosissima campagna elettorale sui temi dell’istruzione. Perché i danni di questo disastroso aumento dello “spread del sapere” sono ben più gravi di quelli del famigerato spread dei titoli di Stato. E che nessuno dimentichi che, laurea o non laurea, un Paese che non investe sui propri giovani è un Paese senza futuro.


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