Gli imprenditori titolari di appalti pubblici non saranno più obbligati a denunciare un’estorsione. La norma che imponeva l’obbligo, pena la perdita della commessa e l’esclusione dalle gare per tre anni, sarebbe scattata con la semplice comunicazione di un indizio da parte del pubblico ministero durante un processo. Un provvedimento contenuto all’interno del pacchetto sicurezza e fortemente voluto dal ministro dell’Interno Roberto Maroni che però è saltato durante una seduta notturna delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio.
Secondo le nuove modifiche, invece, la pena per il costruttore scatta soltanto se questi è imputato per favoreggiamento o falsa testimonianza. Il “sorpasso” è arrivato con un emendamento del Pdl a firma del deputato Manlio Contento, con il sostegno del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo e dei due relatori Jole Santelli e Francesco Paolo Sisto. Con l’uscita dall’aula di Pd e Idv, lo scontro investe i due fronti della maggioranza divisi sul provvedimento, con Maroni e il sottosegretario Mantovano a difendere un “testo frutto di un accordo tra Interno, Giustizia, Economia e Sviluppo economico, condiviso da tutti” e il fronte Pdl che vota contro. “E’ stata svuotata di significato una norma condivisa e concordata con le associazioni antiracket, con la procura nazionale antimafia e con i ministri”, ha attaccato Maroni, che ha definito l’emendamento “sostenuto da certe lobby per svuotare di significato la lotta alla criminalità organizzata”.
Preoccupato il fronte di chi è impegnato in prima fila nella lotta alla mafia, come il presidente di Libera Don Luigi Ciotti che insieme all’imprenditore Vincenzo Conticello e al sindaco Rosario Crocetta ha lanciato un appello da Gela per ripristinare l’articolo eliminato. “Chi paga il pizzo favorisce il rafforzamento delle cosche mafiose e danneggia fortemente lo sviluppo sociale, civile e culturale della Sicilia – hanno detto – La lotta contro la mafia deve essere ben più trasversale e deve andare oltre gli schieramenti. Ci auguriamo che questo emendamento possa essere ripreso per favorire un’affermazione concreta di legalità e sviluppo, dimostrando che la politica sa scegliere con chiarezza e determinazione da che parte stare”. Deluso anche Tano Grasso, presidente onorario della federazione anti-racket italiana: “Su questa proposta c’era quasi unanimità al Senato, si dava con questa norma un segnale forte. Adesso si torna indietro”.