Ragioniamo su cosa vuol dire "economia di guerra" - Live Sicilia

Ragioniamo su cosa vuol dire “economia di guerra”

Servono idee non convenzionali.
LO STRETTO IMMAGINARIO
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Parlare di economia di guerra vuol dire descrivere l’adeguamento di un sistema produttivo nazionale alle vicende belliche. Dall’industria, all’energia, fino ai consumi. L’economia di guerra trasforma l’organizzazione di una Nazione, facendo del conflitto, la priorità assoluta. Al momento, queste caratteristiche non sono riscontrabili in Italia, e in molte altre realtà nazionali, tranne che in quelle, e sono tante, che sono in guerra, tra cui, come ultime, Russia e Ucraina. Le ripercussioni di un’economia di guerra su Nazioni che non lo sono, però, non sono sconosciute, e sono aumentate all’aumentare delle relazioni commerciali libere tra Nazioni e con l’integrazione tra i diversi Mercati, regolati da Trattati Economici ormai quasi tutti multipolari.

Questi Trattati, senza dare un giudizio di valore ideologico, politico o filosofico sono la reale novità che interviene nelle conseguenze della posizione che una Nazione non belligerante assume rispetto ai contendenti di un confronto bellico, perché in una maniera o nell’altra, e in rapporto al profilo economico e sociale che gli corrisponde, non esiste neutralità o profilo che possa metterla al riparo. Questi Trattati Economici e d’Integrazione tra i Mercati, influiscono in maniera inedita e mai sperimentata in precedenza, sui problemi che avrà di fronte a se il prossimo Governo, sui margini di manovra per affrontare in maniera razionale le conseguenze della Guerra in Ucraina. Non siamo più all’inizio del Secolo scorso quando Spagna e Svizzera potevano agire liberamente e trovare la maniera di sviluppare politiche economiche, in cui era sufficiente dimostrare la non collaborazione con le parti in causa. I Trattati Economici e d’Integrazione dei Mercati, sono stati scritti e concordati per una situazione di pace ritenuta, erroneamente, eterna, subito dopo la fine dell’Unione Sovietica.

Questi Trattati, e le regole che li compongono, non prevedono la guerra, e quindi, nel caso in cui essa avviene, non sono più uno strumento che facilità una politica economica ma un pericolo che può provocare l’implosione di alcune economie nazionali importanti, con tutte le conseguenze del caso. Ogni Governo, in questo momento, si confronta con questi vincoli, in maniera diversa. Ovviamente, un governo come quello di Mario Draghi, che per quanto possa essere un uomo autorevole e pragmatico ha proprio nella fede ideologica nella globalizzazione dei mercati la sua ragion d’essere biografica, non ha nemmeno preso in considerazione di forzare alcuni termini di questi Trattati per agevolare la costruzione di misure di governo che possano contenere inflazione e costo dell’energia (che sono la stessa cosa).

Non si può chiedere a Mario Draghi, che crede nei valori della “distruzione creativa” in economia, di prendere in considerazione l’ipotesi di sospendere la formazione del prezzo nazionale dei prodotti energetici attraverso le regole del mercato, per passare a un prezzo pianificato, a tempo determinato, in cui niente è dovuto alle società di distribuzione, per ciò che riguarda la differenza tra quest’ultimo e quello di mercato. Non si poteva chiedere a Mario Draghi, un Decreto che attuasse, dal giorno dopo la sua approvazione in Consiglio dei Ministri, una moratoria, a tempo determinato, sui pagamenti delle bollette ancora sospese o in scadenza, stabilendo, insieme, in che modo, in quanti mesi e da quando iniziare a pagarle.

Rispetto a ciò che Mario Draghi pensa, tutto questo non solo sarebbe stato un sopruso e un esproprio, un attentato alla libertà d’impresa, ma sarebbe stato un’oggettiva trasgressione di diverse norme contenute nei Trattati di Libero Scambio, compreso quello di Maastricht. Al netto della storia più recente di Giorgia Meloni, e dell’evoluzione di una Destra non Liberista, questa è la prima prova di fronte alla quale, si capirà la dimensione e la sostanza della sua personalità. Si capirà se realmente, ma realisticamente, senza fughe in avanti in assenza di retroguardia, la questione sovranista, (così definita, ma che personalmente chiamerei non globalista) nella realtà di governo, possa finalmente perdere le superfetazioni astratte e strumentali, ideologiche e di principio, per diventare una maniera diversa per imbastire il vestito della coabitazione internazionale tra le nazioni.

Giorgia Meloni, diversamente da partiti e movimenti di destra politica che sono opposizione o quasi, in Spagna, Francia, Germania, in questo momento è chiamata a guidare l’Italia, e dimostrare che tutte le critiche mosse al sentire politico del tempo, hanno alle spalle, oltre a delle discutibili questioni etiche, morali e culturali, una struttura d’idee sociali necessarie per una battaglia politica, interna e internazionale, assolutamente necessaria. 

Perché è necessario forzare queste regole economiche e di mercato pensate esclusivamente e illusoriamente per i tempi di pace, per contenere e governare gli effetti di una guerra. 

Cosa mi aspetterei, in linea logica, in base agli stati di necessità del momento, non da Giorgia Meloni in astratto, ma da una donna che sono anni che, anche in maniera contraddittoria (che io sia d’accordo o meno) ha immaginato una strada diversa per la coabitazione in Europa e nel Mondo? Mi aspetterei che il giorno dopo il suo insediamento convochi a Palazzo Chigi tutti i fornitori di energia del Paese, per comunicare tre decisioni patriottiche e rischiose, sostenute non da una banale rivalsa di classe, o da una semplicistica constatazione di vocazioni speculative.

Perché, se si conoscesse l’articolazione delle imprese che al momento svolgono il ruolo di fornitori d’energia in Italia, ogni loro dimensione, la distribuzione sul territorio e la varietà delle ragioni sociali, si capirebbe che anche per loro, in questo momento, la situazione non è semplice. Ma questo non cancella un fatto: serve una decisione in tempo reale ed immediata, e questo può essere attuata solo richiamandole al dovere di un sacrificio da dividere con gli utenti, in parti proporzionate alle capacità di resistenza finanziaria. 

  • “Io so, che le norme sovraordinate e internazionali, non lo permettono, ma questo è il momento di stabilizzare, a tempo determinato, fuori dal mercato, il prezzo di fatturazione dell’energia, ed io ho intenzione di farlo entro questa settimana”
  • “Io so, che non è facile, ma chiedo alle imprese di distribuzione dell’energia, di accettare senza opposizione legale questa decisione, rinunciando a ogni pretesa di compensazione, sulla differenza tra il prezzo pianificato e quello di mercato” 
  • “Io chiedo di sospendere, inoltre, dal giorno della firma del Decreto, i pagamenti delle fatture scadute e in scadenza, e di stabilire per esse un piano di rateizzazione”

Queste decisioni, in ultimo, finalmente chiariranno una annosa questione: quella delle reali intenzioni dei mercati finanziari, che alternativamente sono descritti come autonomi o come realtà eterodirette. Perché in linea di principio finanziario, un Paese che nella situazione data, di alto debito pubblico, trovi la maniera per affrontare un problema drammatico senza impiegare totalmente del denaro pubblico, ma mettendo in comune un sacrificio, vedrà in essi un termometro premiante della decisione. Se invece, avverrà il contrario, sarà chiaro che, la parte finanziaria globale non è neutrale, come si dice, nelle vicende politiche e sociali internazionali. Alla guerra come alla guerra. 


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