Referendum sulla Severino, Meloni dice no: polemiche dentro e fuori FdI

Referendum sulla Severino, Meloni dice no: polemiche dentro e fuori FdI

Una decisione accolta come una smentita circa la posizione di Pogliese

CATANIA – A tutta prima è sembrata una presa di distanza dal sindaco di Catania Salvo Pogliese. Così è stata accolta ai piedi dell’Etna la decisione della leader di FdI Giorgia Meloni di non sostenere le ragioni del referendum sulla legge Severino. Alla stregua di una smentita rispetto a quanto accaduto al compagno di partito, sospeso sulla scorta della legge che porta il nome della già ministra della giustizia. Nel dettaglio, la decisione della Meloni sul quesito proposto da Radicali e Lega era già nota da tempo. Andando ancora più a fondo, è noto pure che all’interno dei gruppi parlamentari di FdI c’è l’intenzione di sostenere le ragioni del disegno di legge depositato in Senato dal Pd destinato a superare il meccanismo della sospensione per quegli amministratori non ancora condannati in via definitiva. 

A Catania, però, la notizia è arrivata come un dito nell’occhio. Salvo Di Salvo, consigliere comunale autonomista, ha chiesto addirittura le dimissioni del sindaco sostenuto dal suo stesso gruppo. Antonio Coniglio, esponente di Nessuno Tocchi Caino, associazione che ha preso posizione rispetto a quanto ha disposto la Prefettura mandando nuovamente in panchina il sindaco, solleva più di un interrogativo all’indirizzo di Meloni: “Io non capisco come faccia Fratelli d’Italia ad esprimersi in senso contrario al superamento della Severino – scrive – Pagando il sindaco di Catania, di quel partito, il sindaco di una delle città più importanti d’Italia, da presunto innocente, un prezzo indecente, indegno, surreale. Pagando quel prezzo una comunità. Ancora si attendono le motivazioni della sospensione prefettizia. Secretati. Sono diventati “arcana imperii””. 

E aggiunge: “Nel silenzio generalizzato e nelle strumentalizzazioni vigliacche degli avversari politici nei confronti del sindaco. Altro che trasparenza, accesso generalizzato. C’è il segreto di stato. Fratelli d’Italia a livello nazionale non solo non  vota il referendum ma non apre subito una riflessione sul fatto che il ministero dell’interno ha assunto un provvedimento amministrativo, entrando a gamba tesa su un provvedimento giurisdizionalizzato, su cui un giudice si era riservato di decidere. Lo stesso giudice legittimato che si era rivolto alla Consulta. Come fa la Meloni a non chiedere conto di ciò? Dovrebbero farlo tutte le forze politiche, se vi fosse un briciolo di onestà intellettuale. Non è una classe dirigente quella che si comporta così. Roba da Bolivia. E neanche una parola, se non da pochi”. 

Pogliese, intanto, è in attesa che sia calendarizzata la prima udienza del processo d’appello sulle presunte spese pazze all’Ars. In primo grado è stato condannato a 4 anni e 3 mesi per il presunto reato di peculato. “Qui non si parla del merito del processo di Pogliese – spiega Coniglio – che si svolge nelle aule di un tribunale, ma di altro. Una volta, dalle parti del Msi (che era comunque un movimento serissimo, imparagonabile alla destra attuale), si diceva ‘se uno ruba deve andare in galera, se è uno dei nostri deve avere l’ergastolo’. Il punto è che Pogliese è un presunto non colpevole – sottolinea l’esponente di Nessuno Tocchi Caino – Non un condannato. Ed è stato espropriato dal suo ruolo di sindaco. Da un provvedimento amministrativo.  A Catania è successa una cosa incredibile per la democrazia. Il silenzio come sempre conviene”.

Intanto, dentro la Fdi etnea c’è chi la pensa in maniera assai differente rispetto alla leader del partito. Massimiliano Giammusso, sindaco di Gravina di Catania, solleva più di un rilievo: “Basterebbe spiegare che una cosa è l’applicazione di una ulteriore, comunque pesante, misura conseguente a una condanna definitiva di un parlamentare, che potrebbe anche essere legittima, ma non è questo il tema – scrive sui social –  ben altra è l’applicazione di una misura, teoricamente cautelare, come una sospensione, che con odiosa discriminazione si applica agli amministratori locali già con sentenza di primo grado, contro ogni presunzione di innocenza, ed in spregio del triplo grado di giudizio. Neanche ai delinquenti abituali!!!”.

Giammusso parla da sindaco e si schiera dalla parte di chi assume responsabilità amministrative: “Tanta è la considerazione che evidentemente merita chi si sacrifica amministrando la propria comunità locale. Misura che nel caso di specie non è più cautelare, ma è diventata molto più che afflittiva, visto che ha ricominciato a decorrere da dove era stata sospesa, una eccezione non rara ma unica nel variegato mondo del diritto italiano, una interpretazione cosi severa da risultare singolare. Punto. Ed è caduta come una mannaia sanguinosa su un Sindaco democraticamente eletto e su una città a cui si sta impedendo di essere amministrata da chi ha scelto. Spiegarlo non è semplice, ma una classe dirigente che si rispetti, dovrebbe avere la capacità di spiegarlo e di agire di conseguenza. Anche in palese ritardo, ma non ancora fuori tempo massimo. Si spera”.


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