Schifani e Musumeci: ovvero la continuità discontinua

Schifani e Musumeci: ovvero la continuità discontinua

Le prime mosse del governatore. La seduta all'Ars e il confronto con il predecessore.
I DUE PRESIDENTI
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Qualcuno – a memoria, crediamo, l’onorevole Nello Dipasquale – si è quasi stupito, nell’ultima seduta dell’Ars. E ha esclamato, alla volta del presidente Renato Schifani: “Grazie per la presenza, non c’eravamo abituati”. Una semplice frase che racconta una separazione che scorre sotto la proclamata continuità rispetto alla presidenza Musumeci, più volte richiamata dall’attuale governatore.

Ma il tratto, che ognuno potrà diversamente valutare, appare alla stregua di un vero e proprio smarcamento, oltre presenze e assenze all’Ars. Tanto Nello si mostrava sanguigno, tanto Renato è felpato, quasi accomodante. Tanto Nello incrociava metaforicamente le lame, tanto Renato distribuisce sorrisi e benedizioni a largo raggio. Per esempio, a Schifani non sarebbe mai venuto in mente di prendere di petto alcuni onorevoli, dopo lo smacco nella vicenda antipatica dei grandi elettori presidenziali, che ricordiamo qui. Avrebbe piuttosto espresso una sommessa indignazione e si sarebbe adoperato per sistemare le cose a modo suo, senza ‘dare sazio’.

Ci sono dati politici e caratteriali che rendono le due figure discontinue, quasi naturalmente. La politica impone una navigazione accorta, in un mare di guai, con un’Isola stremata, piena di problemi e scarsissima di risorse. Non si può, insomma, andare all’arrembaggio del dissenso col piglio del corsaro nero di salgariana memoria.

Un atteggiamento favorito dalle inclinazioni personali. Il presidente Nello Musumeci, a Palazzo d’Orleans, era quello che è sempre stato: un uomo abituato alle pose e ai linguaggi che vengono da destra, favorevole alla pugna. Il presidente Renato Schifani risponde a una natura democristiana. Un cattolico prudente che sa che certi discorsi seccanti è meglio che siano pronunciati e ascoltati nella discrezione di una sacrestia. Fateci caso, nella lite politica che è divampata intorno al suo governo, con lo sgradevole siparietto di Catania e successivo ingresso polemico dell’ex assessore Razza, ci sono molti, se non tutti, fra espliciti e sottintesi. Ma Schifani non c’è.

Il governo Schifani potrà essere in sintonia con certe scelte e con qualche impostazione programmatica del predecessore, ma chi lo guida non somiglierà mai all’ex inquilino dello stesso Palazzo. E’ l’equilibrio della ‘continuità discontinua’. Una filosofia davvero molto democristiana che, invece di affrontare in campo aperto gli avversari, lascia che si consumino lentamente. Per informazioni citofonare Miccichè. Detto delle differenze, ecco la sfida, l’ostacolo non facilmente sormontabile, l’ordalia suprema. L’ex presidente del Senato dovrà dimostrare pienamente, nella concretezza delle scelte che non badino a parrocchie e parrocchiani, di possedere il profilo determinato del ‘comandante in capo’ di cui c’è bisogno in un tempo tremendo. L’aplomb può essere un sostegno prezioso. Ma, per la fame della Sicilia, garbo e tattica non basteranno. (Roberto Puglisi)


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