C’è qualcosa di storto nella linearità del processo politico che porterà nelle prossime ore o al massimo una manciata di giorni Matteo Renzi a Palazzo Chigi. E sottolineo linearità perché l’avvicendamento che si è consumato tra Letta e Renzi è assolutamente dentro la logica europea che vuole il leader del partito di maggioranza relativa alla guida del governo. Su questo punto – fatta la tara degli strepiti isterici dei sostenitori postumi del governo su procura, quelli alla Civati per intenderci – siamo rientrati nella normalità dei regimi democratici. E allora cosa c’è di storto, deforme, ambiguo in questa vicenda? Cos’è che non torna nella pletora di commenti e reazioni al nuovo corso? Perché tanta diffidenza? È solo questione di forma o c’è dell’altro a tormentare i sogni scalfariani?
Tutti o quasi i primi ministri che si sono avvicendati al capezzale dell’Italia – chi come luminare della chirurgia (Monti) chi come semplice internista (Letta) chi come commediante e venditore di sogni (Berlusconi) – hanno avuto la loro meritata luna di miele: un tempo lungo o breve di sospensione del giudizio, in cui tutto o quasi era concesso e pure i peccati mortali venivano declassati a venialità da apprendista dell’arte governativa. Matteo Renzi no. Al premier in pectore l’establishment economico, mediatico e burocratico sta riservando solo fiele e tirate d’orecchi. Perché? Forse perché la famigerata rottamazione, liquidata come la pars destruens della strategia renziana, in verità rappresenta anche la pars construens del programma politico del leader democratico. Distruzione e costruzione non sarebbero, insomma, due tempi di una strategia ma la strategia stessa.
E, aspetto non irrilevante, la “distruzione creativa” riguarda la classe dirigente nel suo complesso, il paese come sistema di potere. Ecco spiegata allora la reazione diffidente, quando non platealmente ostile, di una certa borghesia protetta che campa di incentivi; dei boiardi dell’industria pubblica e dei grand commis dello Stato e del sotto-Stato; dei parassiti che dissanguano le casse pubbliche. Dicono: Renzi ha sbagliato nei modi; ma in verità è alla sostanza che guardano con malcelata preoccupazione le forze resistenti della conservazione (fa specie trovare in questo calderone anche molti salotti progressisti), che hanno fondato sul potere di interdizione delle procedure e sulla rendita politica le proprie decennali fortune. La notizia allora è che la rottamazione è appena iniziata. Non è questione di tempi o di andatura – come certe caricature vorrebbero far passare – ma di intransigenza, di profondità, di capacità di separare la parte marcia dalla parte buona del dente per evitare una dolorosa estrazione. O Renzi avrà la forza politica per piegare il fronte trasversale della conservazione o entrerà anzi tempo nel pantheon di quelli che c’hanno provato. E nel caso sarà almeno in buona compagnia.

