Risarcimento ai familiari:| Riina condannato, il "corvo" no - Live Sicilia

Risarcimento ai familiari:| Riina condannato, il “corvo” no

Fallito attentato all'Addaura
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Totò Riina condannato a metà, in ambito civile, per il fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone. Questo l’esito del processo mosso contro il capo dei “corleonesi” dalle sorelle del giudice ucciso dalla mafia, come riportato dal sito panormita del quotidiano “Repubblica”. Una condanna a metà perché il giudice, Paola Proto Pisani, ha riconosciuto la responsabilità di Riina – come capo di Cosa nostra –  e gli ha imposto di pagare 144.048,47 euro ad Anna e Maria Falcone, come familiari, ma non per l’opera di delegittimazione che segui il fallito attentato a Falcone.

Le sorelle, infatti, nella loro richiesta chiedevano soddisfazione per le “umiliazioni”, le “calunnie” e gli “sleali attacchi e i torbidi giochi di potere” che hanno colpito il giudice antimafia. Il riferimento è alle lettere del “corvo” e alle notizie, messo in giro ad arte, che volevano Falcone autore del suo stesso attentato all’Addaura. Un “infame linciaggio”, secondo il giudice, che però non lo attribuisce a Riina – e a Cosa nostra in generale – quanto agli “ambienti delle istituzioni”.

“Brusca ha riferito espressamente – scrive la Proto Pisani – che a fronte delle svariate notizie e voci che nell’immediatezza correvano sulla matrice dell’attentato dell’Addaura, Riina suggerì di ‘cavalcare’ tale confusione, mantenendo il più stretto riserbo sulla matrice mafiosa dell’attentato, anche e proprio all’interno dell’ambiente degli uomini d’onore e di alimentare all’interno della stessa organizzazione le voci false che già correvano all’esterno sul tale fatto”.

Per le lettere del cosiddetto “Corvo” di Palermo è stato processato, e assolto, Alberto Di Pisa, oggi procuratore a Marsala. E il giudice, nel condannare Riina al risarcimento, riporta le parola di Giovanni Brusca: “Speriamo che il dottor Di Pisa si penta. Questo diceva Riina quando sentiva le notizie sulla sua incriminazione. Ma non perché poteva favorire Cosa nostra, perché il dottor Di Pisa era uno di quelli pure duri contro Cosa nostra. Ma credo che lui sapeva che all’interno della Procura c’era qualche spaccatura. ‘Speriamo che si pente’ nel senso ‘speriamo che sapremo qualcosa di più’. Gli faceva piacere che venivano fuori queste cose”.

Il giudice della terza sezione civile del tribunale di Palermo, a proposito del ‘corvo’, parla di un “uomo della mafia sapientemente infiltrato nelle istituzioni”. O un “uomo delle istituzioni, non collegato a Cosa nostra, in contrasto con Falcone per questioni attinenti alla modalità di gestione dei collaboratori o più in generale per le tecniche di investigazione relative alla criminalità organizzata, o anche per motivi di invidia o contrapposizione personale, che poi nei fatti ha concorso a realizzare l’interesse comune a Cosa nostra di delegittimare Falcone”. Ma per il “corvo” nessuna condanna, perché bisogna ancora trovarlo.


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