Rischio sismico, Cascone : |"Basta perdere tempo" - Live Sicilia

Rischio sismico, Cascone : |”Basta perdere tempo”

Il presidente dell'Ordine degli ingegneri di Catania invita ad accelerare per lavorare sulla città esistente. "Occorre agire in fretta".

CATANIA – “Non c’è più tempo da perdere”. E’ categorico il presidente dell’Ordine degli ingegneri di Catania, Santi Cascone, intervistato sulle condizioni della città etnea e del suo comprensorio, alla luce di quanto accaduto in centro Italia, flagellata da una serie di scosse di terremoto che hanno distrutto vite, case, beni culturali. Non solo non c’è tempo da sprecare parlando di quello che si dovrebbe fare, per Cascone, ma vanno coinvolti tutti gli attori – pubblici e privati – per evitare che, in caso di forte terremoto – tra l’altro atteso in Sicilia orientale, tra le zone più a rischio di tutta l’Europa – che le perdite diventino enormi. In termini umani e non solo.

In questo momento qual è la situazione a Catania? Cosa potrebbe accadere in caso di sisma, agli edifici?

Quello che abbiamo vissuto in Italia negli ultimi mesi è la prova tangibile della fragilità della nostra struttura edilizia rispetto ai terremoti. Una fragilità che possiamo individuare partendo da alcune date: una, quella di riferimento, è quella del 23 novembre 1981. Da quel momento in poi, dopo l’Irpina, si inizia a costruire secondo norme antisismiche. Quindi, tutto quello che è stato realizzato prima di quella data, non rispetta queste norme. Tutto quello che è stato edificato negli anni sessanta, in cemento armato, i grossi condomini di sei, sette elevazioni, che caratterizzano tutto il costruito dal 1950 al 1980, durante il boom edilizio, è realizzato senza norme sistemiche. E poi c’è tutta la parte che riguarda la città storica, al cui interno si individua un intessuto edilizio, le case, e le emergenze architettoniche. Anche all’interno del centro storico troviamo tante fragilità: non solo relative alle abitazioni, ma soprattutto in relazione al patrimonio architettonico, storico, sul quale è opportuno intervenire con coscienza e serietà, affinché possa essere valorizzato e protetto. 

Cosa ha pensato di fronte alle immagini di Amatrice, Ussita, e dei paesi letteralmente cancellati dai recenti terremoti?

Le immagini dei droni che ci fanno vedere le città praticamente demolite, sarebbero state le stesse di Catania nel 1693, se ci fosse stata la stessa tecnologia. Purtroppo, numerosi  studi sul costruito prima del 1981 parlano di elevata pericolosità, per cui il nostro territorio è ancora a rischio.

Ci sono differenze tra i quartieri? Zone più a rischio rispetto a zone in cui il tessuto edilizio è più resistente?

L’intervento è indispensabile che avvenga in maniera diffusa. Soprattutto perché l’intensità dell’evento ha una localizzazione, punti nei quali si concentra l’energia. Per cui non è possibile parlare di rischio maggiore in un posto rispetto a un altro. C’è però la possibilità di effettuare studi specifici, edificio per edificio. cosa che peraltro il Governo sta detassando all’85%. Noi poi ci troviamo di fronte a un tessuto edilizio di tipo talmente vasto che le dotazioni infrastrutturali determinano anche un incremento del rischio. Problemi di viabilità, ad esempio, nel caso di edifici con più elevazioni che danno su strade strette, cosa che aumenta la condizione di rischio perché non esistono spazi sufficienti per muoversi e consentire la rapida evacuazione delle persone. E poi gli impianti: una città investita dal terremoto perde tutta una serie di elementi, come l’energia elettrica, l’acqua, il gas, che colpiscono anche chi non subisce danni strutturali. Oggi non esistono più le province, ma gli studi investono un territorio molto ampio che corrisponde all’area metropolitana.

Cosa fare allora?

L’evento sismico gravissimo che c’è stato, credo possa servire da presa di coscienza di questa pericolosità. Così come nel 1980 il terremoto in Irpinia porta a una legge, quindi da quel momento in poi si sono seguiti certi criteri. Il sisma di oggi può essere un momento di riflessione per il nostro territorio, per accelerare su una serie di programmi che, in qualche modo, le amministrazioni sembrano voler intraprendere, perché c’è una spinta di assumere alcune decisioni che possano favorire la partenza di un grande piano della città esistente per la sicurezza sismica. Ma questa attività non può avere i tempi classici che hanno normalmente queste iniziative nei nostri territori. Dobbiamo accelerare. Le amministrazioni questo tema lo hanno di fronte, ed entro due o tre mesi al massimo, devono dare delle risposte.

Come?

Le faccio un esempio: la legge sui centri storici che prevede la classificazione delle tipologie edilizie, che solo pochi comuni hanno portato avanti – il Comune di Catania ci ha lavorato ma non lo ha definito. Quindi, l’aspetto sismico come elemento fulcro, per salvaguardare in una logica generale, non viene portato avanti. Bisogna approfittare di alcuni spazi di vantaggio fiscale che il Governo nazionale sta mettendo in campo, e nello stesso tempo, a livello locale, bisogna accelerare affinché su questi temi si lavori. Da parte nostra, come Ordine, c’è la massima disponibilità nel diffondere la cultura della sicurezza antisismica, con i piccoli proprietari, con gli amministratori di condominio, con le banche, le assicurazioni. Perché è tutto un sistema che deve muoversi nella stessa direzione. E’ una cosa che si può fare, e si deve fare. Ma il percorso va privilegiato perché il tema non può essere più rinviato.

Il contesto città – traffico, viabilità, occupazione delle zone di raccolta, ecc – quanto incide?

La città che prende atto di questa emergenza, di questa fragilità, dovrebbe attuare un piano strategico sulla città esistente che mira alla sicurezza sismica, che possa avere degli strumenti, come il Piano regolatore, di nuove regole urbanistiche, che ridisegni una nuova viabilità, ove necessaria, pensando in termini di evacuazione e sicurezza, e che disegni un nuovo sistema di mobilità. E’ chiaro che, in una condizione di terremoto, in una città complessa come Catania, in un’ora in cui tutti sono in auto, per strada, le condizioni di rischio raggiungono livelli esponenziali. Occorre sinergia, collaborazione, che tutti lavorino nella stessa direzione. Questo è il momento in cui, questo ultimo evento ci deve far fare un passo avanti, lavorando sulla città esistente. Oggi dobbiamo guardare a quello che abbiamo, immaginarlo nuovamente e adeguarlo. Questo può essere anche un modo per rimettere in moto l’economia, senza consumare suolo.

Dove si incontrano le maggiori resistenze?

Oggi avvertiamo ovunque un maggiore senso di partecipazione. La paura che non sia storia ma attualità. Questo ci consente di fare importanti passi avanti. Quando dico acceleriamo intendo dire che dobbiamo in qualche modo “approfittare” di questa consapevolezza, fare in modo che produca qualcosa che domani possa tornare utile.

Cosa serve per fare questo passo avanti, oltre ovviamente, alla volontà?

Occorrono gli strumenti, e non tutti ci sono. Servono strumenti economici, pianificazione, la cultura da parte dei cittadini, degli amministratori e delle imprese. Di cui noi dobbiamo farci portavoce. la parte normativa c’è: dobbiamo trovare gli strumenti locali attuabili nel nostro territorio. Occorre poi che la gestione dell’emergenza sia pianificata e pronta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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