Sanità e liste d'attesa, Laganga Senzio: "Ecco come abbatterle"

Sanità e liste d’attesa, Laganga Senzio: “Ecco come abbatterle”

Obiettivi e criticità: colloquio con il manager dell'Asp 3 Catania

CATANIA – È la seconda azienda sanitaria provinciale più grande della regione. La terza in Italia in termini di popolazione, in termini di budget gestito, in termini anche di ampiezza territoriale. Tra liste d’attesa, criticità, punti di forza e obiettivi.

Giuseppe Laganga Senzio è in sella all’Asp di Catania dalla scorsa estate. A settembre ha nominato a direttore sanitario Giuseppe Reina a quello amministrativo Tamara Civello.

Nel mezzo, le parole del Governatore Renato Schifani. “Se le Asp, gli ospedali e i Policlinici siciliani non raggiungeranno gli obiettivi assegnati dal mio governo, soprattutto per quanto riguarda l’abbattimento delle liste d’attesa, insieme ai manager delle Aziende decadranno automaticamente anche i direttori amministrativi e sanitari”. Parole pronunciate lo scorso 31 agosto.

Direttore partiamo, allora, proprio da qui.
““Apprezzo molto il rigore con il quale il Presidente affronta il tema, che ha come obiettivo finale la qualità dei servizi e dell’assistenza da garantire ai cittadini. Gli obiettivi assegnati rispondono a criteri ben precisi, condivisibili e, aggiungerei, raggiungibili. Si tratta di obiettivi ai quali guardare nel quotidiano, che si ottengono con impegno e rigore attraverso il proficuo lavoro dei professionisti dell’ASP. Oggi molta attenzione è posta sull’obiettivo della riduzione delle liste d’attesa e su questo punto il Presidente è assolutamente irremovibile. Lo trovo giusto ed anche dignitoso per un sistema sanitario moderno”.

Il punto è riuscirci.
“Noi viviamo in una situazione in cui il giudizio comune circa la qualità della sanità della nostra terra è negativo. Che però non corrisponde alla realtà delle nostre prestazioni, nel senso che spesso non informiamo come si dovrebbe, non valorizziamo nel giusto modo”.

Torniamo agli obiettivi.
“Guardi, io ho fatto per 4 anni il direttore generale nella sanità privata e se non raggiungevo l’obiettivo veniva meno la riconferma del ruolo. Trovo che questo principio sia molto corretto, incentivi chi sa fare e generi un meccanismo virtuoso. Ma il tema non è questo: il tema è riuscire a offrire i servizi dovuti alla collettività. Se gli obiettivi sono raggiungibili non c’è nulla da temere”.

E l’Asp di Catania com’è messa a livello di servizi?
“Parliamo di un’Asp che ha più di un milione e centomila utenti residenti. E poi 58 comuni. Bacini di riferimento molto ampi che vanno dalla zona pedemontana all’area del calatino. Quindi, una situazione abbastanza diversa anche da un punto di vista non solo socioculturale ma anche epidemiologico.

Ci stiamo impegnando in un’attività di stratificazione del fabbisogno della popolazione che tiene conto, appunto, di queste caratteristiche socio-economico-culturali della popolazione di riferimento. Quindi, al netto di quello che può essere un problema di carenza di risorse diventa fondamentale la localizzazione di un’offerta sanitaria specifica”. 

Come si traduce all’atto pratico?
“Anzitutto con un confronto costante con sindaci e istituzioni. Poi, il cosiddetto DM 77 sull’assistenza sanitaria territoriale, sul quale siamo molto concentrati e che grazie al ruolo centrale dell’Assessorato regionale alla Salute stiamo concretamente realizzando passo dopo passo, individua la localizzazione delle prestazioni in ambito prettamente territoriale per creare una rete assistenziale sempre più vicina al luogo di residenza della popolazione”.

Lei lo accennava poco fa, qual è la percezione che un cittadino ha della sanità siciliana?
“Il paziente o la famiglia non riesce a valutare la qualità tecnica di una prestazione. Valuta quella che è la qualità percepita: come ti arriva, cosa ti arriva. Se hai perso tempo a fare la prenotazione, per esempio: l’elemento di valutazione molte volte non riguarda la qualità della visita.

Oggi bisogna lavorare su questo, bisogna lavorare sul migliorare quella che è la qualità percepita. Aumenta la sfiducia nei confronti del sistema sanitario regionale”.

Liste d’attesa

Il punto è probabilmente quello legato a liste d’attesa esagerate. Lei come sta affrontando questa autentica piaga?
“Un punto di svolta che potrebbe essere determinante è la realizzazione del Cup provinciale. È lì che ci giochiamo la partita: un punto di domanda unico ed un punto di risposta unico. Chi chiede si rivolge a un unico Cup ma nel quale saranno riunite le agende di tutte le aziende pubbliche e private dell’area metropolitana. In questo modo la allocazione dell’offerta in relazione alla domanda diventa unica per tutta l’area provinciale. Una novità molto rilevante, ed è ben diversa rispetto al sopra Cup regionale”.

È una cosa alla quale state già lavorando?
“Si. È un progetto ambizioso verso il quale insieme alla mia squadra di lavoro abbiamo fatto numerosi ragionamenti. Presenteremo una richiesta di autorizzazione a livello regionale per poter partire con una sperimentazione del Cup provinciale dell’area metropolitana di Catania”.

Non solo liste d’attesa. Come giudica la fuga dei medici dal pubblico al privato? È solo una questione economica?
“Io ho lavorato in strutture private in Lombardia e nel Lazio. E posso dire che oggi nel settore pubblico ci sono problemi che avevo io anche nel privato. Ma sa qual è la differenza?”.

Prego. 
“Nel settore del privato l’arruolamento avviene in base alle caratteristiche specifiche del singolo professionista. Nell’ambito pubblico e, in particolare nell’area dell’emergenza, non può essere così. E le difficoltà sono ovunque. Le maggiori criticità? In ortopedia, anestesia, cardiologia, medicina d’urgenza… tutte branche, appunto, dell’area dell’emergenza.

È ovvio che l’Asp di Catania ha ancora una difficoltà in più che sono i presidi delle aree interne, i presidi della periferia. Qui la carenza di personale e dei pochi professionisti fa la differenza in un sistema di domande e offerta del lavoro che si è completamente invertito”.

Come se ne esce?
“Io credo che ci stiamo avvicinando al punto di equilibrio in cui le aziende ospedaliere ovviamente satureranno la necessità di assunzione di reclutamento, perché hanno fatto un cambio generazionale rilevante, un turnover che è andato avanti in una maniera costante: quindi ci saranno le dotazioni organiche che porteranno ad avere più professionisti sul mercato da reclutare. Attenzione, però, questo non sarà sufficiente.

Il nostro obiettivo è quello di rendere più attrattivi i presidi ospedalieri, che sono più periferici. Renderli attrattivi significa: tecnologia, innovazione; significa regole del gioco ben definite e procedure ben consolidate”.

A proposito di emergenza, non sfugge che vi ritroviate a fare i conti anche con le continue aggressioni ai medici di pronto soccorso.
“È vero. Io dico sempre che chi ha intenzione di fare del male lo fa a prescindere. Per chi ha nell’indole la violenza è difficile rinvenire una leva, come dire, risolutiva al problema. Però, sono una percentuale molto limitata, altrimenti saremmo nel Far West.

Quello che si determina, in linea generale, è un sistema di confusione comunicativa. Chi arriva al pronto soccorso, a prescindere da quello che sia il proprio fabbisogno, in quel momento è il fabbisogno più importante in assoluto: cioè non riesce a fare distinzione se sia codice rosso o codice bianco. Io arrivo e pretendo di avere una prestazione.

La percezione mia, che accompagno mio padre, e che rimane lì seduto per ore senza essere visitato, è quello che al di là di quel vetro non facciano nulla. Che si stiano riposando e che non hanno preso in cura il mio genitore. Pretendo che qualcuno mi dia qualche risposta. Pretendo che io abbia delle certezze su quello che succede: su quando verrà visitato.

Allora va fatta un’adeguata comunicazione che tenga in considerazione chi si ha dinnanzi e lo stato d’animo. Ma la comunicazione dev’essere fatta da professionisti: io chiedo, tu mi rispondi e mi dai la risposta. È importante sapere comunicare la presa in carico: non solo il paziente che è là dentro ma tutto il nucleo familiare e tutte le persone che l’hanno accompagnato hanno bisogno di sapere.

Gli studi dimostrano che almeno il 60% dei contenziosi per il risarcimento del danno in sanità si risolve se si riesce ad avere una comunicazione attiva e attenta con i familiari nel momento stesso in cui si verifica l’evento”.

Dica la verità, quanta ingerenza c’è da parte della politica nei confronti di un manager dell’Asp?
“Supporto, confronto, collaborazione. Non ingerenza. C’è un dialogo costante per costruire davvero un sistema di servizi e un welfare nuovo. Lo dicevo poco prima. Per realizzare quel cambiamento che auspichiamo è prima di tutto necessario un confronto costante con sindaci e istituzioni. In questo senso, sì, mi confronto molto con la politica.

Lo faccio con tutti i sindaci, con i rappresentanti delle istituzioni, con il volontariato… in ascolto delle istanze dei territori e delle comunità. Per me ogni occasione è un’opportunità di riflessione, di miglioramento, di costruzione di un puzzle fatto di tanti piccoli pezzetti. E devo dire che nelle interlocuzioni con la politica sto trovando un dialogo esigente e costruttivo, fondato sul rispetto reciproco”.


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