PALERMO – Ci risiamo. È la secondo volta che accade in pochi mesi. Al Palazzo minimizzano, parlano di normale dialettica. Guai a usare la parola scontro. Di certo l’avocazione dell’inchiesta su un presunto voto di scambio mostra una netta divergenza fra la Procura generale diretta da Roberto Scarpinato e quella Procura della Repubblica coordinata da Francesco Lo Voi.
Sarà il pg Luigi Patronaggio a proseguire le indagini sull’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio (Ncd), sul senatore Marcello Gualdani (Ncd) e su altre cinque persone. Il giudice per le indagini preliminari ha preso atto dell’avocazione, da parte della Procura generale, dell’inchiesta per la quale la Procura aveva chiesto l’archiviazione.
Secondo Patronaggio, sulla vicenda vanno fatti accertamenti più approfonditi. Dunque, tali non vengono ritenuti quelli condotti nei mesi scorsi dall’aggiunto Dino Petralia e dai pm Alessandro Picchi e Sergio Barbiera (che non sono più in servizio a Palermo, ndr) che avevano fatto richiesta di chiudere il caso. Il giudice per le indagini preliminari ritenne di non accoglierla e fissò l’udienza per la discussione, avvertendo, come prevede la legge, la Procura generale, che nei mesi scorsi aveva già cercato di farsi sentire in altre circostanze.
Qualche mese fa Scarpinato aveva cercato, infatti, di “strappare” ai colleghi della Dda l’inchiesta sull’omicidio di Antonino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio. Allora sì che c’erano tutti i presupposti per parlare di rivalità. In Cassazione, però, la sua “avocazione” era stata stata annullata. Scarpinato rimproverava una certa inerzia investigativa ai colleghi Francesco Del Bene e Nino Di Matteo. Lo Voi aveva fatto ricorso e la Procura generale della Cassazione lo aveva accolto. Stavolta non ci sarà ricorso proprio perché, a differenza del caso Agostino, in Procura ritengono che si tratti di una fisiologica diversità di vedute. Punto.
Dopo la bocciature della precedente avocazione, il fascicolo sula morte di Agostino e della moglie, è tornato a Del Bene e Di Matteo. Lo stesso Di Matteo a cui Scarpinato disse “no grazie” quando tentò di farsi applicare al processo d’appello al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, assolti in primo grado dall’accusa di avere fatto saltare il blitz che avrebbe potuto portare, così sostiene l’accusa, alla cattura di Bernardo Provenzano.
Ufficialmente Scarpinato ritenne opportuno “non incrementare ulteriormente il coefficiente di rischio a cui è soggetto Di Matteo”. Al di là delle dichiarazioni, già allora scricchiolò il fronte dell’antimafia corazzata del quale Scarpinato e Di Matteo erano e sono autorevoli rappresentanti. La verità è che forse Scarpinato aveva colto il rischio che i giudici potessero vedere nella presenza di Di Matteo una certa personalizzazione del processo. Fatto sta che Scarpinato, assieme a Patronaggio, ha pure abbandonato la linea sostenuta dall’accusa in primo grado. Niente contestazione dell’aggravante di mafia per gli imputati.