PALERMO – La polemica sembrava chiusa dopo una parziale correzione di rotta. Ma ieri ci ha pensato Leoluca Orlando a riaccenderla, nelle sue vesti di presidente dell’Anci Sicilia, scrivendo una lettera aperta al ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti. Che si era fatto notare nei giorni scorsi per un’improvvida frase pronunciata ad Afragola, dove, parlando dei problemi della scuola nel Mezzogiorno, il leghista ha detto: “Ci vuole più impegno, più lavoro e sacrificio al Sud per recuperare il gap con il Nord, non più fondi. Vi dovete impegnare forte, è questo che ci vuole”. Poi la correzione di rotta dopo la bufera. Bussetti è stato frainteso, assicura il ministro stesso. “Stimo i docenti di tutta Italia e sono dispiaciuto del fraintendimento generato dalla mia frase. Quando parlavo di ‘impegno’ non mi riferivo solo agli insegnanti ma a tutto il mondo che gravita attorno alle scuole in generale”.
Di certo, le parole di Bussetti avevano suscitato le proteste di presidi e insegnanti. Ma anche di Luigi Di Maio, che aveva bacchettato il collega: “Caro Marco, siamo noi al Governo che evidentemente dobbiamo impegnarci sempre di più. Soprattutto sulla scuola, che richiede interventi storici per le condizioni veramente indegne in cui versano tante strutture”.
Orlando ieri ha ricordato un po’ di numeri al ministro. Numeri che nei giorni del dibattito sulla richiesta di maggiore autonomia alle Regioni del Nord è quanto mai opportuno rispolverare. Visto anche che tra le competenze che Veneto e Lombardia reclamano c’è quella sull’istruzione. “Risulta pesantemente indebolito il principio costituzionale dell’uguaglianza, in questo caso il diritto allo studio, che andrebbe garantito uniformemente da Bolzano a Capo Passero – scrive Orlando -. A lei, Signor Ministro, non saranno sfuggiti i dati del rapporto Svimez 2018, in cui si rileva che solo il 4,7% dei bambini del Sud tra 0 e 2 anni fruiscono di servizi educativi, contro il 16% dei bambini del Nord e il 18,3% di quelli del Centro. E ancor di più non Le sarà sfuggito l’allarmante divario per il tempo prolungato, che raggiunge il 45,6% al Centro Nord, contro il 7,2 riservato alla scuola siciliana con un evidente impatto sia sul percorso formativo degli studenti che sulle dinamiche familiari e sociali”.
Che sulla scuola, come in tanti altri ambiti, esistano due Italie, è un dato di fatto incontrovertibile, dati alla mano. Che questo si possa risolvere con “più impegno” è una bella favoletta. Servono, eccome, i soldi. Tanto per avere il quadro della situazione. gli ultimi dati sul tempo pieno disponibili sul sito del Ministero vedono le Isole ferme a uno scandaloso 4,3 per cento, contro il 38 per cento del Nord Ovest.
Scattando una fotografia a “Sud e scuola”, il divario con la parte più ricca del Paese è sconfortante. Già a partire dal tasso di scolarizzazione che presenta ancora nelle regioni del Sud un valore significativamente inferiore. Questo perché, scrive lo Svimez, “ancora troppi ragazzi meridionali pur accedendo alle scuole superiori non completano il ciclo di studi, testimonianza di un rilevante e persistente tasso di abbandono scolastico”. Ancora il rapporto Svimez: “Facendo riferimento alla più diffusa misura di dispersione scolastica a livello internazionale, gli “early leavers from education and training (ELET)” , la percentuale di giovani che abbandona il sistema formativo è pari al Sud al 18,5%, a fronte dell’11,1% delle regioni del Centro-Nord, entrambi superiori sia al target di Europa 2020 (10%) che alla media europea (10,6%)”.
Non solo. C’è poi il problema della qualità delle competenze acquisite a scuola. Che al Sud è nettamente più basso rispetto al Nord. In pratica, le statistiche dicono che gli studenti al Sud imparano meno e peggio. E questo sia per le maggiori difficoltà del contesto sociale contro cui la scuola ha vita più dura, sia perché al Sud “è minore l’apporto degli Enti locali che influiscono sulla qualità dei servizi alla scuola che, nel Mezzogiorno, registra livelli qualitativamente inferiori: si pensi ai trasporti, alle mense scolastiche, ai materiali didattici”, fa notare il rapporto Svimez. Eccoli i soldi che mancano. Quelli di Comuni e Province che devono integrare il lavoro della scuola. E che invece al Sud boccheggiano, con trasferimenti tagliati e livelli minimi dei servizi non garantiti. Malgrado la riforma federalista della Costituzione avrebbe dovuto assicurare questa garanzia di qualità minima, anche con i commissariamenti degli enti locali inadempienti.
La qualità dei servizi, questo è il capitolo dolente. Basta pensare agli asili nido. Per i quali, calcola l’Istat, l’offerta di servizi si differenzia molto fra il Centro-Nord e il Mezzogiorno: al Nord-est e al Centro si hanno mediamente 30 posti per 100 bambini, al Nord-ovest 27, al Sud e nelle Isole rispettivamente 10 e 14. E il dato delle Isole è influenzato dalla buona performance della Sardegna che ha percentuali quasi triple rispetto alla Sicilia. L’Isola è terzultima in questa classifica, peggio fanno solo Campania e Calabria. Eppure, applicando la riforma del federalismo, la voce asili nido fu una di quelle per cui si adottò il criterio del fabbisogno basato sulla spesa storica, partendo dal folle assunto per cui se un territorio un asilo nido non lo aveva, vuol dire che non gli serviva. Su queste basi si è costruito lo sgangherato federalismo nostrano, dove i concetti di perequazione e “livelli essenziali delle prestazioni” sono rimasti lettera morta lì dove invece si sarebbero dovuti applicare, arrecando così il minimo disturbo al Nord. Che adesso vuole ancora di più. Con un encomiabile “impegno” che forse piacerà al ministro leghista.