"Sicilia buttanissima? | Voglio restare ottimista" - Live Sicilia

“Sicilia buttanissima? | Voglio restare ottimista”

Il pm Antonino Di Matteo

Parla il magistrato che ha ricevuto numerose minacce di morte. Dalle sue parole traspare fiducia ma anche amarezza per "la disattenzione e il sospetto di parte delle istituzioni".

Intervista a di matteo
di
5 min di lettura

PALERMO – C’è gratitudine nelle parole di Antonino Di Matteo per “la stima di tanta gente che mi sorprende sempre anche se si tratta di un sentimento che mi viene espresso da molto tempo. Mi conforta”. C’è anche amarezza, però, perché la stima “stride con la disattenzione, il sospetto di parte delle istituzioni e il malanimo di qualche opinionista pronto ad attaccare l’operato mio e dei miei colleghi anche mistificando la realtà”.

Il pubblico ministero di Palermo, per il secondo anno consecutivo, è arrivato primo nel sondaggio di Livesicilia. È lui il siciliano dell’anno per i nostri lettori. L’anno scorso a convogliare il voto su di lui era stata la voglia di verità, l’invito a gettare il cuore oltre l’ostacolo delle indagini per decifrare la buia pagina della trattativa fra lo Stato e la mafia, lo sfogo minaccioso di Totò Riina che a Di Matteo avrebbe volentieri riservato la fine che fanno i tonni. Oggi con un processo ormai incardinato e le indagini parallele ancora in ballo il fronte giudiziario resta caldissimo. Altrettanto, però, lo è il clima per le parole di Vito Galatolo, boss della borgata palermitana dell’Acquasanta che ha scelto di pentirsi. Per prima cosa ha voluto parlare con lo stesso Di Matteo a cui ha riferito che erano e sono pronti duecento chili di tritolo per farlo saltare un aria. Il magistrato si fa intervistare in un periodo in cui l’amarezza pesa parecchio. Ha accettato solo per il grande rispetto che nutre verso coloro che non perdono occasione per stargli vicino. Nulla dirà, però, sul processo, sulle indagini e sulla procura di Palermo che da alcuni giorni ha un nuovo capo. Rispettiamo la scelta anche se proviamo a stuzzicarlo.

Malanimo e sospetto sono parole pesanti (proviamo a scavare lo stesso, per mestiere). A chi le associa, visto che sul fronte istituzionale la risposta in termini di protezione nei suoi confronti è stata massima?
“Infatti, parlavo di ‘parte delle istituzioni’, ma su questo nulla voglio aggiungere”.

Possiamo sapere almeno perché, secondo lei, ci sono malanimo e sospetto
“Sto cercando di capire, ma tengo per me le valutazioni”.

C’è amarezza nelle sue parole o mi sbaglio?
“Un’amarezza a cui fa da contraltare la grande attenzione verso il nostro lavoro da parte di tanti cittadini. Penso, in generale, che il sondaggio sia l’ennesima conferma che tanti cittadini abbiano dimostrato di capire, a differenza di una parte della politica, che la lotta al sistema mafioso e alla corruzione dilagante dovrebbe essere il primo obiettivo. Molta gente ha ben chiaro che mafia e corruzione sono gli ostacoli principali allo sviluppo del Paese, ma la politica fino ad ora si è limitata a tante parole a cui sono seguiti pochi fatti. La diffusione di mafia e corruzione e l’allarme che suscitano sono tuttora combattute con armi spuntate dalla magistratura rispetto alla estrema gravità della situazione”.

In concreto cosa si potrebbe fare per adeguare la risposta dello Stato?
“La lotta alla mafia e alla corruzione sono due facce della stessa medaglia. La corruzione serve alle criminalità per penetrare la pubblica amministrazione e la politica. Oggi è necessario che le armi che il legislatore ci permette di utilizzare per reprimere la componente militare della criminalità organizzata vengano estese alla corruzione e alla collusione con il potere. Non credo che ciò si voglia realizzare. Quando si scoprono e si provano i reati contro la pubblica amministrazione ci si scontra comunque con un quadro di sostanziale impunità a causa del regime in vigore sulla prescrizione dei reati e dei, troppo frequenti ed ingiustificati, provvedimenti di indulto”.

A proposito di politica e potere, nel nostro sondaggio si è classificato secondo Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e giornalista che ha definito la Sicilia “buttanissima’. Che ne pensa, lei che aggettivo userebbe?
“(Sorride). Preferisco evitare giudizi e definizioni generalizzate e generalizzanti. Conservo, però, nonostante tutto, una visione ottimistica. Sono convinto che la voglia di onestà, uguaglianza e verità che proviene da tanti giovani prima o poi cambierà le cose. Porterà alla sconfitta della mafia e dei metodi mafiosi, ma non so quando tutto questo si realizzerà e capovolgerà l’immagine di un paese rassegnato alla mafia e alla corruzione”.

Verità: una parola che salta fuori spesso, specie nelle indagini che lei sta seguendo sulla Trattativa. Quanto siamo vicino alla verità e quanto il Paese, secondo lei, è pronto a raggiungerla.
“Non posso entrare nel merito delle indagini e sull’esito di esse. Dico che è necessario che i pm facciano il loro lavoro senza il timore di risultare scomodi o sgraditi ad altri poteri, ma i cittadini,a loro volta, facciano la loro parte non demandando tutto alla magistratura. Come?, rispettando le regole e pretendendone il rispetto dai governanti. Sono concetti elementari che mi sento di ribadire. Tutti devono fare la propria parte, partendo dal rispetto delle regole”.

Totò Riina, intercettato in carcere, diceva rabbioso che avrebbe voluto ammazzarla. Una serie di anonimi parlavano di ‘amici romani’ coinvolti nel progetto di attentato. Vito Galatolo ha raccontato che assieme ad altri tre boss palermitani avevano già comprato il tritolo. Delle due l’una, o siamo di fronte allo sfogo di un padrino ormai senza potere, a dei mistificatori che si divertono ad usare carta e penna, al pentimento di un boss emergente che per oscure ragioni si inventa tutto oppure sono episodi che convergono tutti nella medesima direzione. Lei che idea si è fatto?
“A fronte di tutte queste vicende certamente ho cercato di separare il lato umano e personale da quello valutativo-professionale. Guardandole da magistrato, come se riguardassero non la mia ma una una terza persona, ho maturato la precisa consapevolezza che ci sono più elementi probatori, e tutti di particolare rilevanza, che prospettano una situazione di rischio grave, concreto e attuale. Non voglio dire altro se non che, più del fatto di rischiare la vita, mi amareggia profondamente constatare che qualcuno, ancora oggi, si accosti a questi problemi con spirito di pregiudiziale sottovalutazione. Sembra paradossale, ma certe volte sembra che qualcuno ti chiami a ‘difenderti’ e fornire spiegazione per giustificare il fatto di essere nel mirino dei capi di cosa nostra e forse di qualcun altro. È paradossale, ma non intendo farmi condizionare nel mio lavoro, nella mia vita personale e familiare e vado avanti come ho sempre fatto”.


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