Dall'acqua alla Tac spenta: storie dal carcere che non rieduca

Nelle carceri siciliane si soffre, malcontento e rabbia fra i detenuti

Dall'acqua razionata alla Tac comprata e mai usata
PARLA IL GARANTE
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PALERMO – Sovraffollamento, afa, difficoltà ad accedere all’assistenza sanitaria e, come ogni estate, anche penuria d’acqua. I detenuti soffrono nelle carceri siciliane.

E soffrono pure gli agenti della polizia penitenziaria, impegnati a prevenire i suicidi e ad evitare che esploda la rabbia.

Si è smarrita la finalità rieducativa costituzionalmente prevista. Gli istituti penitenziari diventano solo luoghi di punizione. Le parole di Santi Consolo, in passato alla guida del Dap e oggi garante siciliano dei detenuti, tradiscono amarezza e disagio. Il suo ruolo può servire da stimolo, ma si scontra con la triste realtà.

“Appena arrivato ho fatto delle proposte migliorative per molti istituti, anche per l’Ucciardone di Palermo: volevo riattivare i progetti fermi – spiega -. Penso, tra gli altri, all’area agricola, di circa un ettaro, o al settore tessile. Quasi nulla è stato fatto, pur avendo offerto una parte delle somme a mia disposizione. È stata migliorata solo l’area adibita a teatro”.

Disattese le aspirazioni dei detenuti

Il disagio cresce, in Sicilia come nelle altre regioni d’Italia. “Credo che si abbia in genere scarsa considerazione per il ruolo dei garanti. Non abbiamo alcun potere, possiamo soltanto evidenziare le carenze e suggerire correttivi”, aggiunge Consolo.

Così non va. Dal carcere non si esce uomini e donne migliori. “Questo è il profilo più drammatico – racconta Consolo -. Le aspirazioni dei detenuti vengono quasi sempre disattese. In tanti vogliono svolgere attività lavorative, anche a titolo gratuito e su base volontaria, nei lavori di pubblica utilità per la collettività”.

Il dato è impietoso. In Sicilia ci sono oltre 6.600 detenuti, un migliaio in più della capienza massima.

Gli stranieri sono il 14%, circa la metà della media nazionale. Più di 1000 hanno fatto richiesta per partecipare ad attività di formazione. Poche decine le domande accolte.

Non si impara un mestiere, non ci si mette al servizio della collettività. I lavori di pubblica utilità sono a titolo gratuito. Secondo il garante, andrebbe comunque riconosciuta una minima gratificazione.

I fondi non spesi

Da un censimento è emerso che quasi tutti i detenuti vorrebbero lavorare. Consolo ha stanziato più 50 mila euro dei pochi fondi a disposizione per un rimborso di cinque euro all’ora: “Non riesco a spenderli, in Sicilia ci sono appena 35 detenuti che svolgono lavoro di pubblica utilità”, dice. Colpa di una burocrazia troppo lenta.

A Roma, ad esempio, in passato i detenuti hanno contribuito alla cura del verde. I lavori più frequenti ormai rimangono quelli che si svolgono all’interno del carcere: cuoco, spesino, vivandiere o addetto alle pulizie.

Sono pressoché assenti i lavori svolti dalla pubblica amministrazione in economia e in amministrazione diretta con manodopera detenuti per il miglioramento e la manutenzione delle stesse strutture detentive.

Il caso della Tac a Messina

D’estate fa caldo, d’inverno freddo. E poi “la Sicilia ha un livello di sofferenza maggiore nel settore dell’assistenza sanitaria. Il caso della Tac di Messina è emblematico”, racconta Consolo.

Il macchinario è stato comprato nel 2019, da allora è ancora imballato in un sottoscala del carcere di Messina. “Il mio ufficio per ben due due volte – spiega Consolo – ha sollecitato a tutte le autorità competenti l’attivazione e l’utilizzo del costoso macchinario, nonostante il tempo trascorso non ho ricevuto alcuna risposta”.

Consolo lo ha denunciato più volte. “In oltre un anno di attività come garante ho inviato relazioni alle autorità competenti per sollecitare iniziative che a mio avviso potevano essere utili sia come correttivi. Purtroppo a fronte di tanti suggerimenti e stimoli ben poche sono le risposte pervenute”.

E in carcere si soffre. Per la libertà perduta – come è giusto che sia per chi si macchia di un reato -, e per le condizioni di vita disumane.

Aumentano i suicidi in carcere

Di vita e di morte. Nelle carceri italiane, infatti, dall’inizio dell’anno al 20 giugno si sono registrati 44 suicidi. Un numero elevato rispetto a giugno 2023 quando furono 34, mentre a fine giugno del 2022 erano stati 33.

Tra i detenuti il malcontento cresce, c’è chi cova sentimenti di rabbia. E si manifesta nell’insofferenza dei detenuti.

Tocca agli agenti penitenziari evitare che esploda la rabbia. L’ultimo caso a Messina, dove due agenti sono stati aggrediti. Ancora una volta il quadro è impietoso. In Sicilia servirebbero 300 poliziotti in più.


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