Sicilia e Sanità: aggressioni e caos

Carenze, aggressioni, disperazione: dobbiamo difendere la nostra Sanità

Le violenze e i problemi in Sicilia e non solo. Bisogna fare qualcosa

Nessuno dimentica mai i giorni in cui ha assistito, per la prima volta, alla sofferenza e all’addio di qualcuno che amava e che non ha mai smesso di amare.

Per me accadde con mio padre, molti anni fa, nelle settimane estive e colorate dell’adolescenza. Quelle memorie – in questa piccolissima tessera che precede un ragionamento più ampio – restano inchiodate a una regione profonda dell’anima, con il corredo di sensazioni mai sopite.

Frammenti olfattivi: l’odore del disinfettante. Reperti tattili: la rugosità della sedia, riparo delle notti. Esplorazioni visive: la crepa scavata nel muro, accanto all’ascensore che portava, tanto tempo fa, alla Rianimazione di Villa Sofia.

Era un reparto dentro un territorio sospeso. All’epoca non si capiva bene – non soltanto i medici, la comune opinione – chi fossero alcuni tra i suoi ospiti, nell’identità di una mutazione. Non ancora morti, ma vicini ad abbandonare la vita. Si manifestava confusione nell’approccio. Si vivevano tumulti in disperata buonafede. Come aiutarli?

Trovammo un posto a Pavia, al ‘San Matteo’, l’ultima trincea della speranza. L’ospedale offriva una stanza individuale (e gratuita). Qualcuno poteva rimanere lì. C’era una finestrella, con un vaso di fiori. Mio padre morì con il conforto di coloro che amava, guardando, senza più vederli, quei fiori. Una storia personale, fra migliaia di storie parallele. Ognuno potrebbe dire la sua.

Sono passati secoli, nella clessidra dei costumi. Oggi, la Sanità è più uniforme, più partecipe di ogni momento del cammino, più prossima alla nozione complessiva di cura, almeno nel suo principio generale. Ha dovuto fronteggiare la terribile pandemia da Covid, con dolori solitari e inenarrabili.

Ma l’orizzonte di un comandamento laico è stampato con ragguardevole nitore: nessun corpo e nessuna anima siano mai lontani dallo sguardo, in nessun frangente.

Poi, c’è la cronaca, recentissima e tangibile, che racconta un paesaggio tormentato. Una tensione continua. Ecco il focus dell’inquietudine, lo snodo del discorso. Le ultime settimane, tra notizie ed esperienze singolarmente verificabili, hanno confermato l’emergenza. Gli eventi spingono alla riflessione, inducono a lanciare un appello: fate qualcosa e fate presto. Facciamo qualcosa, facciamolo presto.

Succede in Sicilia e non solo in Sicilia. Le nostre pagine sono piene di, sempre barbare e ingiustificabili, aggressioni al personale sanitario, traboccano di lamentele più o meno giustificate, riportano il disagio di chi opera sul campo e non si sente più garantito.

Questa è la malattia globale che ha bisogno di un’urgentissima terapia. La deve trovare una politica che non può limitarsi a riscoprire quel mondo solo quando viene l’occasione delle nomine e degli incarichi distribuiti con più di un occhio all’appartenenza degli incaricati. Per fortuna, non mancano gli esempi di eccellenza.

Tuttavia è bene ricordare l’esistenza di una responsabilità collettiva, sia pure in quote differenti.

Difendiamo la Sanità, pretendendo un sistema pubblico che funzioni, reclamando il superamento improrogabile di carenze, rendite di posizione e ritardi. Ma facciamo in modo, nel nostro perimetro, che ovunque sopravvivano i fiori di ciò che è umano.


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