PALERMO – Per Matteo Renzi, adesso, la Sicilia è importante, bellissima, decisiva. E dire che fino a poco tempo fa voleva arrivare qui, come nel resto del Meridione, col lanciafiamme. L’evoluzione di una rottamazione che si è trasformata in qualcos’altro.
Niente lanciafiamme, per il momento. Per il referendum, torna buono tutto. E del resto era tornato buono pure l’impresentabile tra gli impresentabili, il “reietto” della Leopolda, cioè Mirello Crisafulli. Sono tornati buoni ex berlusconiani e cuffariani, ex fedeli di Micciché e di Musumeci.
Renzi per il momento ha dimenticato tutto. E scherza, a breve distanza – è seduto in prima fila – con Rosario Crocetta. “Mannaggia a te”, dice, sorridendo su qualche battuta relativa al peso. Altri argomenti aveva usato in passato, però, il premier nei confronti di quel governatore che in più di un’occasione provocò: “Il vero rottamatore sono io”.
“Deve governare, altrimenti va a casa”, lo aveva “freddato” invece il premier un anno e mezzo fa. Già, perché fino a poco tempo fa, la Sicilia per Renzi era la metafora del fallimento. “L’Italia corre a due velocità” ha detto più volte. E l’Isola era tra le Regioni più lente, per il presidente del Consiglio. Che per un po’, da queste parti, non si è fatto vedere. E ha lasciato ai suoi luogotenenti il compito di recitare una parte scivolosa e ambigua: essere di lotta e di governo. Inclini alla critica, se non alla polemica e all’attacco, ma tenendo ben strette le poltrone nella giunta di governo di Crocetta.
Per il resto, Renzi è entrato a piedi pari quasi in ogni riforma accennata dal governo regionale. Da quando, in particolar modo, è venuta meno la figura del Commissario dello Stato in Sicilia nella verifica della legittimità delle leggi. Il pallino è passato a Palazzo Chigi, e da quel momento, per le riforme di Crocetta è stato un bagno di sangue.
Tutte bocciate, tutte riscritte. A riprova della volontà di indirizzare, seppur da lontano, i destini dell’Isola. Da lontano, come detto. Pur provando a difendere una specie di “estraneità dall’interno”. Non con Crocetta, pur essendo insieme a Crocetta. E così, il governo con dentro i renziani, proponeva le leggi a un parlamento zeppo di renziani (anche di ultima generazione). Ma poi Palazzo Chigi interveniva per far saltare in aria tutto: dagli appalti all’acqua, senza parlare delle Province, il flop dei flop: dopo tre anni di errori, Crocetta si è impegnato a ricopiare dalla ‘Delrio’.
E non solo. Con lo “storico” accordo tra Crocetta e Renzi con cui la Sicilia ha rinunciato ai contenziosi con lo Stato in cambio di somme stabili in bilancio, la Regione si è impegnata a recepire una sfilza di norme nazionali, tra cui la riforma Madia recentemente giudicata incostituzionale.
E ancora, in quell’accordo anche l’impegno a nuovi e sanguinosi tagli. Tutte manovre che, più che Crocetta, hanno visto come figura-chiave l’assessore all’Economia Alessandro Baccei, fiorentino – guarda caso – e inviato in Sicilia come avveniva per i consoli romani. A presidiare una colonia.
Perché così è stata vista da Roma la Sicilia in questi anni. Prendi i rifiuti. Il governo e l’assessore renziano Vania Contrafatto lavora a una riforma, anche questa poi mutilata da Palazzo Chigi. Va riscritta. Nel frattempo, però, l’Isola è stata “obbligata”, in cambio di uno stato d’emergenza frutto degli errori del passato e del balbettio amministrativo di quest’ultima legislatura, a rispettare paletti strettissimi fissati dal premier e dal ministro all’ambiente Galletti. In quel contesto, il governo decideva che qui dovranno sorgere due o più termovalorizzatori.
Una colonia, insomma. E non è un caso, probabilmente, che proprio nell’Isola il fronte del No sia più ampio che altrove. Il mix tra l’inconcludenza e il caos dei governi Crocetta e l’invasività del governo nazionale, sembrano alimentare l’anti-renzismo. Perché a Roma, Renzi, ha giocato con la Sicilia così come un fantino col suo cavallo. Ha allentato e stretto le redini a piacimento. Come è chiaro nel caso della Sanità. Quando l’assessore era ancora Lucia Borsellino, si parlò di possibile commissariamento della Sicilia per il mancato raggiungimento dei Livelli essenziali di assistenza nel settore delle nascite. Erano i giorni della morte della piccola Nicole. Adesso, il tema è quello delle assunzioni: negate per lungo tempo e a cui il governo di Renzi ha aperto pochi giorni fa, con l’arrivo di Beatrice Lorenzin. In piena campagna referendaria, insomma.
Perché tutto torna buono oggi, dopo anni di Sicilia dimenticata e commissariata allo stesso tempo. Torna buono il ripescaggio del progetto sul Ponte sullo Stretto che tanto piaceva anche agli alleati di Ncd. E tornano buoni pure i “Patti” per Regione e città che dovrebbero fare dimenticare, ad esempio, che proprio Renzi aveva sottratto alla Sicilia circa un miliardo di fondi Pac non ancora spesi dalla Sicilia, per “girarli” alle imprese come sgravi fiscali. Tornano buone promesse di ogni tipo, persino, come è avvenuto nella penultima puntatina di Renzi, la cattura di Matteo Messina Denaro. Perché “la Sicilia è decisiva” ha detto il premier oggi, al Teatro Politeama. Dopo aver osservato per anni i disastri del governatore Crocetta, che fa parte del suo Pd, dopo aver inviato consoli e luogotenenti, dopo aver provato a ridurre la nefasta autonomia, dopo aver chiuso gli occhi sulle campagne acquisti selvagge del suo partito, ma solo da lontano. Il lanciafiamme, per il momento, meglio non usarlo.