PALERMO – Cala il sipario sul 2022, un anno ricco di trasformazioni per la politica siciliana sintetizzate in un breve amarcord alfabetico (di certo non esaustivo) dalla A alla Z.
A come Amministrative. La tornata elettorale del 2022 cambia il volto della città di Palermo che elegge con un plebiscito Roberto Lagalla. Il centrodestra, lacerato da lotte intestine, non senza fatica né malumori, si riunisce in zona Cesarini attorno all’ex Rettore e segna un punto importante nel primo tempo di una partita che si concluderà con il bis alle elezioni regionali del 25 settembre.
B come Bis quello che alla fine Nello Musumeci non riesce a centrare nei concitati giorni che seguono le sue dimissioni (che portano all’election day).
C come Corte dei Conti che sospende il giudizio per la parificazione del rendiconto della regione Sicilia per il 2020 passando la palla alla Corte Costituzionale e costringendo il governo regionale a correre ai ripari e bussare alla porta del governo nazionale che inserisce nella Finanziaria la norma “Salva Sicilia” per azzerare il contenzioso.
D come Cateno De Luca che lascia la poltrona di primo cittadino di Messina per diventare sindaco di Sicilia. Alla fine il Catenomoto non ci sarà, ma De Luca può fregiarsi del secondo posto alle spalle di Renato Schifani e consolarsi con una pattuglia di otto deputati a Sala D’Ercole.
E come Esercizio provvisorio. Il disegno di legge che autorizza l’esercizio provvisorio fino al 31 gennaio del bilancio della Regione Siciliana per il 2023 ha ottenuto il via libera in occasione dell’ultima riunione di giunta del 2022 e approderà in aula il 10 gennaio. I rallentamenti che ha subito la tabella di marcia con la mancata approvazione del provvedimento entro la fine dell’anno fanno sì che la Regione Siciliana entra in “gestione provvisoria”: in questa fase sono possibili soltanto le spese necessarie ed obbligatorie.
F come Forza Italia che nel 2022 vive in Sicilia la sua crisi più acuta (a dispetto degli ottimi risultati elettorali) ritrovandosi spaccata in due diversi gruppi all’Ars nell’anno che vede per la prima volta un azzurro a Palazzo d’Orleans. Il 2023 sarà un anno chiarificatore sia rispetto alla deroga chiesta dai miccicheiani per tenere in piedi il gruppo sia per il possibile commissariamento del partito siciliano.
G come Gatto. Destinata a rimanere negli annali la celebre metafora felina dell’ex presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè: “Anche un gatto vincerebbe contro Musumeci”. Poi le cose sono andate diversamente.
H come Harakiri. Quello del fronte progressista siciliano che si è frantumato in mille pezzi consegnando la Sicilia al centrodestra. Complice l’election day, le strade di Pd e M5S si dividono ma fuori tempo massimo. Il centrodestra segna un goal a porta vuota e sentitamente ringrazia. La decisione di Giuseppe Conte (che stacca la spina) rende inutili le primarie di coalizione (vinte dalla dem Caterina Chinnici alle quali hanno preso parte trentamila siciliani) e lascia una ferita profonda, difficile da rimarginare.
I come Infrastrutture che, al netto dell’agognato ponte sullo Stretto, restano il Tallone d’Achille della Sicilia rendendo meno dolce e poetico il sentimento dell’isolitudine che si trasforma in mero isolamento.
J come Juventus. L’amore per la vecchia signora è un file rouge che collega l’ex presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, al suo successore: Gaetano Galvagno.
K come Ko. Come quelli incassati in aula dal governo Musumeci nel corso degli ultimi scampoli della scorsa legislatura.
L come La Russa. Il neo presidente del Senato è uno degli uomini chiave del 2022. In Sicilia c’è il suo zampino dietro le mosse del cavallo che portano alle candidature vincenti di Roberto Lagalla e Renato Schifani con buona pace di Gianfranco Miccichè.
M come Miccichè. Il mattatore della politica siciliana, tutto genio e sregolatezza, cade sotto i colpi del fuoco amico e finisce l’anno messo all’angolo di un ring che lo ha visto lottare senza esclusione di colpi. Stronca la strada al bis di Musumeci ma è costretto a bere l’amaro calice della candidatura di Renato Schifani. Il resto è cronaca recente. Il mancato ticket per Roma si rivelerà una spina nel fianco per il centrodestra siciliano? Il nuovo anno ce lo dirà.
N come “Nello” (Musumeci) che piange con un occhio solo non centrando il bis a Palazzo d’Orleans ma ricevendo in dote da Giorgia Meloni il Ministero del Mare con delega alla Protezione Civile.
O come Orlando che si congeda da Palazzo delle Aquile a conclusione del suo quinto mandato da sindaco di Palermo. Un’eredità ingombrate.
P come Patrioti. Fratelli d’Italia è il partito più votato alle regionali con il 15,1% dei voti. Seppure per un soffio, il sorpasso sugli azzurri c’è: il centrodestra diventa il destracentro a Palermo come a Roma. I meloniani in Sicilia fanno incetta di assessori: quattro. Più la presidenza dell’Ars. Complice la spaccatura di Forza Italia, il gruppo di FdI all’Ars è quello più numeroso con 13 deputati.
Q come Quirinale che vede la riconferma del siciliano Sergio Mattarella nonostante il capo dello Stato avesse detto a chiare lettere di non gradire un bis. Mattarella, suo malgrado, suona così la campanella: la ricreazione è finita. E richiama all’ordine i deputati-scolari impartendo una lezione di garbo istituzionale.
R come Ruggero Razza. Il delfino di Musumeci lascia l’assessorato alla Sanità ma incassa l’ingresso in giunta della moglie Elena Pagana facendo storcere il naso a molti dei suoi. Chi pensava a una sua uscita di scena, nel 2023 potrebbe ricredersi.
S come Schifani. L’ex presidente del Senato diventa il nuovo inquilino di Palazzo d’Orleans con oltre il 40% dei voti. La convergenza sul suo nome mette in cassaforte la vittoria del centrodestra e l’unità di una coalizione riottosa. Il volto storico di Forza Italia in un solo colpo, si ritrova azionista di maggioranza del partito e federatore del centrodestra siciliano. L’aplomb istituzionale, la pazienza elefantiaca e il fare garbato non stanno impendendo al nuovo presidente di uscire le unghie quando serve. Non a caso una delle frasi che Schifani ripete più spesso è “Io ascolto tutti, ma alla fine decido io”.
T come Totò che visse due volte alias Totò Cuffaro. L’ex presidente della Regione si riprende la scena (pur non potendo candidarsi in prima persona) e fonda la nuova democrazia cristiana, incassa un buon successo alle elezioni palermitane prima e alle regionali poi; infine parte per una missione in Burundi.
U come Under 40. La Sicilia non è (necessariamente) un paese per vecchi. E il pensiero corre a due enfant prodige che chiudono in bellezza il 2022. Uno è Gaetano Galvagno il più giovane presidente dell’Ars nella storia del Parlamento siciliano. Il pupillo di Ignazio La Russa la spunta a dispetto dei suoi 37 anni. L’altro è il coetaneo Luca Sammartino che entra anche lui nel guinnes dei primati diventando vice presidente della Regione (e incassando contestualmente la guida di un assessorato di peso: l’agricoltura).
W come Webinar, preziosi e diffusissimi durante la pandemia che stanno progressivamente lasciando il campo agli incontri in presenza (che, ammettiamolo, ci sono mancati)
X come il segno che i siciliani hanno tracciato sulle schede elettorali onorando il loro diritto-dovere al voto.
Y come Yes-man, o nella versione aggiornata e rispettosa Yes-woman, che si annidano a tutte le latitudini della politica siciliana e non solo. Spazio libero da comporre a proprio piacimento…
V come VETO. Il leitmotiv della politica sicula del 2022. I veti incrociati segnano le tappe delle complesse trattative che portano il centrodestra alla scelta del candidato alla presidenza della Regione.
Z come PIAZZA OTTAVIO ZIINO per metonimia l’assessorato alla Sanità, il più ambito. Schifani non cede alle pressioni di chi vuole tirarlo per la giacca e affida la pratica alla dottoressa Giovanna Volo a lei l’onere e l’onore di mettere mano alla più grande sfida che attende il nuovo governo regionale.