Soldi e rifiuti in Sicilia: una storia affari e relazioni pericolose

Soldi e rifiuti in Sicilia: una storia di affari e relazioni pericolose

Dai progetti di Totò Cuffaro fino alle tangenti pagate a Bellolampo

PALERMO – Con la spazzatura si fanno i soldi. Non è detto che siano sporchi come i rifiuti, ma il sospetto è forte. A volte le inchieste hanno dimostrato che a spingere gli affari sono stati patti illeciti. Altre volte le indagini non sono sfociate in un processo, ma solo perché il tempo è una variabile troppo incerta nel mondo della giustizia.

Si torna a discutere di termovolirizzatori, anche se ora va di moda la parola termoutilizzatori. Il governo di Nello Musumeci ne vuole costruire due, uno per la Sicilia orientale e l’altro per la zona occidentale. Si sono fatti avanti sette colossi del settore che hanno risposto al bando regionale per la manifestazione di interesse. L’affare fa gola. Dalle parole si sta passando ai fatti anche se ci vorranno almeno tre anni, una volta aggiudicato l’appalto, per vedere gli impianti entrare in funzione. Il governatore ha convocato per stamani una conferenza stampa. Le buste con le proposte sono state aperte. Si conosceranno tutti i nomi delle società e i luoghi dove intendono insediarsi.

Si procederà con il project financing L’amministrazione pubblica indice la gara, gli imprenditori interessati raccolgono intorno a sé altri soggetti disposti a prendere parte all’iniziativa, presentano i progetti che prevedono non solo la realizzazione ma anche la gestione dell’opera.

La Regione potrebbe riservare la partecipazione nel capitale sociale ad una società in house o a totale partecipazione
regionale.

In principio l’idea venne a Cuffaro

A lanciare l’idea dei termovalizzarori nel 2003 fu Totò Cuffaro, allora governatore e commissario per l’emergenza rifiuti, che aggiudicò a quattro società consortili la convenzione ventennale per il trattamento dei rifiuti.

Un affare da diversi miliardi di euro che prevedeva la costruzione di quattro impianti a Palermo, Augusta, Casteltermini e Paternò. Si formarono quattro Ati costituite da Elettroambiente, Enel produzione, Emit, Amia, Catanzaro Costruzioni; Falk, Actelios, Amia, Emit, Consorzio Asi Palermo, Aser, Gecopre e Safab; Dgi Daneco, Waste Italia, Siemens, Technip Italy, Db group, Altecoen; Elettroambiente, Enel produzione Altecoen tecnoservizi ambientali, Pannelli impianti ecologici. Nel luglio 2007 la procedura fu annullata da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il bando non era stato correttamente pubblicizzato, serviva cioè maggiore trasparenza.

L’Agenzia regionale risolse i contratti. Gli originari affidatari – vale a dire le società consortili Sicilpower, Tifeo Ambiente, Palermo Energia Ambiente, Platani Energia Ambiente – fecero partire dei contenziosi. Nel 2009, nel frattempo presidente della Regione era diventato Raffaele Lombardo, che ripartì con una gara e poi con una procedura negoziata.

Entrambe si chiusero con un nulla di fatto. Nel 2010 il governo Lombardo annullò l’intera procedura, sollevando due questioni: l’illecito collegamento tra i raggruppamenti volto ad alterare la concorrenza e il rischio di infiltrazioni mafiose.

Nel 2013 il Tar, respingendo un ricorso contro l’annullamento del bando, parlò di offerte preconfezionate “a tavolino” in accordo tra i diversi raggruppamenti. Dopo l’annullamento c’è chi chiese i danni. Il nuovo governatore, Rosario Crocetta, chiuse un accordo transattivo che non prevedeva esborsi a carico delle parti.

Nel 2010, però, Pier Carmelo Russo, assessore all’Energia del governo Lombardo, aveva presentato un dossier alla magistratura. La Procura un’inchiesta ipotizzando i reati di abuso di ufficio, corruzione e turbata libertà degli incanti aggravate dall’articolo 7, previsto quando c’è di mezzo la mafia. Una quarantina di persone, fra politici, amministratori e imprenditori, finirono nel registro degli indagati.

Le indagini si chiuderanno con l’archiviazione nel merito dell’ipotesi corruzione, mentre la prescrizione aveva cancellato ogni possibilità di occuparsi dell’eventuale turbativa d’asta, anche se forti erano i sospetti che ci fosse un patto illecito. Sospetti rimarcati anche dalla Commissione regionale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti.

L’indagine su Bellolampo

Altra sorte ha avuto l’inchiesta che ruotava attorno alla discarica palermitana di Bellolampo. Perché la variabile tempo, se da una parte fa andare in prescrizione i reati, dall’altra può tornare utile. L’emergenza rifiuti è perenne, ma se è perenne che emergenza è?

Un’inchiesta è partita da Palermo ed è arrivata fino a Catania. Ci sono una tangente accertata, una da verificare e un imprenditore che ha aiutato gli investigatori. Poco meno di un anno fa sono stati condannati per corruzione a quattro anni ciascuno di carcere Emanuele Gaetano Caruso, originario di Paternò, e la compagna Daniela Pisasale, di Siracusa, rappresentante della Realizzazioni e Montaggi srl ed amministratore unico della Ecoambiente Italia srl entrambe con sede a Siracusa.

I due imprenditori furono sorpresi il 6 agosto 2020 dagli agenti della Dia mentre consegnavano una tangente di cinquemila euro dentro una busta a Vincenzo Bonanno, coordinatore tecnico dell’area discarica di Bellolampo, gestita dalla Rap. Pisasale aveva nella borsa un’altra busta con 13.250 euro.

Secondo il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Gianluca De Leo e Claudia Ferrari, c’era un patto corruttivo fra gli imprenditori e Bonanno che avrebbe messo a disposizione “i propri poteri per monitorare e caldeggiare le procedure che interessavano alla Eco Ambiente di Caruso”. Accelerazione nei pagamenti delle fatture e affidamenti diretti di smaltimento rifiuti in caso di emergenza sarebbero stati i favori resi da Bonanno.

Agli atti dell’inchiesta c’è un episodio precedente (“Spiati dentro il bar”) riportato nelle motivazioni della sentenza di condanna dei due imprenditori. Gli agenti hanno monitorato nel maggio 2020 un incontro iniziato nel negozio di una grande firma della moda a Palermo e proseguito in un bar (GUARDA LE FOTO).

Il processo si è concluso, ma non l’inchiesta. Sul suo conto corrente bancario Bonanno aveva canalizzato lo stipendio pagato da Rap. Ma ci sono altri versamenti in contanti: dall’1 gennaio 2017 al 25 giugno 2020 ammontano a 90.950 euro. Cinque versamenti, per un totale che supera i 13 mila euro, sono stati eseguiti poco dopo gli incontri con Pisasale e Caruso, ricostruiti attraverso le chat dei protagonisti.

E qui entra in gioco un testimone. Non una persona qualsiasi, ma Scalia uno dei fondatori della Eco Ambiente. I suoi ex soci, a suo dire, avrebbero “acquisito una posizione dominante nel settore dei rifiuti in Sicilia grazie al sistematico ricorso alla corruzione di pubblici ufficiali. Egli ha anche descritto alcuni incontri, ai quali era stato presente, nel corso dei quali, secondo il dichiarante, erano avvenute cessioni di denaro”.

Il punto è che l’imprenditore è stato estromesso dalla società. Dunque potrebbe avere motivi di risentimento. Il giudice, però, ci crede. Scalia si è rivolto agli investigatori per fare dichiarazioni spontanee dopo avere ricevuto un avviso di conclusione delle indagini preliminari nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Catania avviata nel 2016.

Un’emergenza perenne

Fino al 31 maggio 2019 Eco Ambiente ha gestito un impianto di trattamento dei rifiuti nella discarica di Bellolampo dietro autorizzazione della Regione. Quando scoppiò lo scandalo dell’inchiesta il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, rivendicò di avere messo Eco Ambiente alla porta. Bonanno aveva un ruolo chiave nella discarica: gestiva gli ingressi e le uscite dei rifiuti da trasferire ad Alcamo.

Nella città trapanese c’era il “sito di trasferenza” della Vincenzo D’Angelo srl dove la Eco Ambiente aveva piazzato un impianto mobile per il trattamento dei rifiuti indifferenziati prima del conferimento in discarica.

La “Vincenzo D’Angelo” aveva chiesto a inizio 2020 il via libera all’ampliamento, ma alla Regione avevano scoperto delle irregolarità nel rilascio dell’autorizzazione del 2017. E così l’assessorato ha varato una commissione d’inchiesta sulle autorizzazioni rilasciate a tutti gli impianti di rifiuti in Sicilia.

Il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Claudia Ferrari e Gianluca De Leo ritengono che il caso di Bonanno non sia isolato. Altri pubblici funzionari sarebbero stati corrotti. Al servizio “Autorizzazioni impianti gestione rifiuti” dell’assessorato regionale alle Energia lavorava il funzionario regionale Marcello Asciutto, anche lui finito nei guai giudiziari e ora sotto processo: avrebbe intascato una tangente per agevolare le pratiche di Vito Nicastri, imprenditore trapanese a cui è stato confiscato un impero economico per il suo legame con la famiglia mafiosa di Matteo Messina Denaro. Su Asciutto indagano gli stessi pm che seguono processi e su Bonanno e Vito Nicastri.

Il filone che porta a Montante

Non è finita perché un altro filone investigativo è stato aperto a Caltanissetta e coinvolge l’ex potente presidente di Sicindustria, Antonello Montante. Tra gli indagati c’è l’imprenditore agrigentino Giuseppe Catanzaro, che avrebbe ottenuto favori e consigli per la sua società che si occupa di rifiuti, in cambio di soldi per la campagna elettorale di Rosario Crocetta. Ad esempio, così sostiene l’accusa, Catanzaro sarebbe stato avvisato dall’ex governatore che “avrebbe dovuto dotarsi di un impianto di biostabilizzazione in assenza del quale non avrebbe più potuto autorizzare l’attività della discarica rassicurandolo comunque sulla possibilità di ovviare alla temporanea di indisponibilità della necessaria apparecchiatura mediante sistemi mobili”.


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