Silvio, che vieni a fare? - Live Sicilia

Silvio, che vieni a fare?

Berlusconi oggi torna a Palermo. Torna a rinverdire le sue promesse del '94, quando scese in campo e atterrò alla Fiera del Mediterraneo, osannato dalla folla. Ma dal '94 in poi tutto è andato a rotoli.

Caro Silvio, scusa se ti diamo del tu. Non vogliamo mancarti di rispetto. Accade perché tu, appunto, ci sei familiare. Ormai da anni sei qui con noi e qui resti. Ora, siccome non sei personaggio da mezza misura, la circostanza può essere declinata come una benedizione celeste o come una dannazione infernale. Resta il fatto: tu, sì, tu, sei il cartoon, la maschera, il volto delle nostre traballanti biografie politiche. Per alcuni simpatico e benevolo. Un Orso Yoghi della cosa pubblica. Per altri, l’oscuro signore, a metà tra il cattivone con un occhio solo del “Signore degli anelli” e Darth Vader, il mitico condottiero del male di “Guerre stellari”. Comunque sia, la domanda è urgente. Torni a Palermo, oggi, per un comizio che dirà qualcosa sulle tue residue abilità di mattatore. Silvio, consentici, che ci vieni a fare? Cosa verrai a dire? Quali promesse da marinaio tirerai fuori dal tuo cappello a cilindro? Se c’è un popolo che ha maturato, controvoglia, il diritto di lagnarsi per il tuo abbandono, siamo proprio noi, i siciliani. Silvio, i siciliani. Ti ricordi? Ti dice niente il nome?

La scintilla scoccò il 21 marzo del ’94. Tu scendesti in campo e atterrasti al padiglione 20 della Fiera del Mediterraneo di Palermo. Avevi meno capelli di adesso e tuttavia, per un prodigio della cosmesi tricologica o per un inganno del tempo, eri assai più giovane. La tua apparizione provocò un sussulto che divise i tuoi ammiratori in due schiere. C’erano quelli che credevano in te. Un imprenditore nel Palazzo. Uno che avrebbe raddrizzato i torti e sbaragliato un mondo di Matusalemme, imponendo ventate d’aria pulita. In una città sepolta dai miasmi, il messaggio innovativo stava nel luccichio – pardon, Silvio, staremmo per scrivere lo spot – che proponevi. Basta con i lacci e i lacciuoli a vario titolo. Basta con i padroni decrepiti. Basta con una vecchia classe dirigente che aveva provocato guasti a mai finire. La Sicilia sarebbe rinata sotto lo scettro del Creatore di Milano Due, con l’accorta manovalanza dei suoi luogotenenti, Gianfranco e Marcello su tutti. Sicilia Due. La vendetta.

Accanto all’impetuoso flusso risorgimentale, c’era il fiumiciattolo carsico e non meno importante dei poveretti che tengono famiglia, senza disporre di un reddito adeguato. Siamo una colonia assediata per fame e per sete, per la povertà di troppi, sacrificati al potere di pochi. Ahinoi, questi troppi non hanno mai nemmeno vagheggiato la presa della Bastiglia. Si sono accontentati di un sovrano diverso dal precedente, sperando nella sua generosità. E tu, Silvio Berlusconi, rappresentavi la nemesi perfetta. La meglio gioventù disponibile, con i soldi, le donne e il calcio. Come proiettare un film propagandistico sui ristoranti alla mensa della Caritas. L’odore dei sogni smuove cuore e stomaco più della realtà. Fu un trionfo crescente che verniciò di gloria l’apoteosi del 2001, passata alla storia con un titolo numerico indimenticabile. Sessantuno a zero.

E poi? Il disastro. La Sicilia, granaio berlusconiano per eccellenza, avrebbe dovuto trarre un giovamento cospicuo dal rapporto intimo col re fresco di trono. I risultati sono agli occhi di tutti. Dal ventennio di Silvio questo lembo di Mezzogiorno ha ricevuto amarezza e delusioni. Qui non si tratta di esprimere un (pre)giudizio politico mutabile secondo l’appartenenza e la schiera di riferimento. Qui, da cronisti, riferiamo la verità dei fatti. La Sicilia, bottino di Arcore e dintorni, è un deserto. Non le ha giovato l’adesione continuata al berlusconismo, con marginali divergenze. Né le è stata utile, anzi al contrario, una rotta di governo penalizzante e distruttiva.

A livello nazionale, Caro Silvio, hai portato fino alle estreme conseguenze il comparaggio con Umberto Bossi e con i suoi seguaci, corifei di una teoria razzista, malamente coperta dalla velina autonomista. Il Nord ha rappresentato la stella polare del ventennio, per questioni di opportunità e per la sua forza nel battere con violenza i pugni sul tavolo di ogni trattativa. I siciliani sono diventati mendicanti di maggiore spessore. Il Magnifico Nord ha preso le leve del comando, mentre qui da noi i corvi ingrassavano e prosperano al riparo di cariche e prebende. Nel nostro piccolo, Caro Silvio, la piena forzista-pidiellina ha condotto al potere proconsoli che passeranno alla storia per le catastrofi edificate. Ne citiamo appena due: Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo Primo. L’ultimo, come si sa, ha conservato la corona di presidente grazie alla miopia secolare del centrosinistra. Il celebrato sessantuno a zero non ha dato inizio a un’età dell’oro. Rimangono fantasmi e macerie.

Un po’ avremmo dovuto sospettarlo. Dovremmo saperlo che i sovrani non recano nulla di buono, se non catene fiammanti. E che la garanzia di un popolo risiede nella democrazia, correttamente adoperata. Non lo sappiamo. Oppure non impariamo abbastanza dall’esperienza. E non impareremo mai.
Perciò, nonostante l’amaro in bocca, nonostante tutto, Caro Silvio, tanti ti accoglieranno oggi con l’entusiasmo dei topi recidivi che amano il pifferaio magico. A prescindere. Certi topi sono lieti perfino di di annegare, purché qualcuno suoni con maestria la musica di accompagnamento.

 


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