Dal sessantuno a zero allo zero tondo tondo, in termini di potere e credibilità. La Sicilia era il granaio berlusconiano per eccellenza, oggi è la raffigurazione più cocente della sconfitta di Silvio. Negli ultimi accadimenti c’è il senso plastico della disfatta. Berlusconi aveva premiato i politici locali, tenendoli al suo fianco nell’esperienza di governo. Il Professor Monti ha scelto un’altra strada. Neanche un siciliano nei paraggi dell’esecutivo. Si paga l’inanità complessiva di una classe dirigente. Si sconta pure la vicinanza a un regime al tramonto? Per anni, siciliano è stato berlusconiano. I segni del tempo differente appaiono nettissimi. Nella roccaforte palermitana ci sono le spoglie del sindaco più odiato di sempre e si approssima una probabile batosta alle elezioni. A Palazzo d’Orleans regna Raffaele Lombardo. E regnerà a lungo per come si sono sistemati i chiari di luna.
E’ che l’Arcorismo soffre delle sue mancate promesse. Silvio ha mentito all’Isola. Si è caricato sulle spalle una barca di voti, spergiurando mirabilie. E poi si è dedicato al pappa e ciccia con il leghista Umberto, costruendo una prassi e una teoria nemiche dei meridionali. Era chiaro che sarebbe stato punito. Si è consumato il vizio più scontato del potere che non si occupa dei suoi sudditi fedeli, pensando che il loro appannaggio sarà eternamente garantito. Perché il potere preferisce di gran lunga andare a caccia di appoggi inesplorati. Troppe cene con il Bossi. Troppi discorsi sul federalismo, percepito come una mannaia. Troppo disprezzo per il Sud. Il conto è salato.
Il Berlusconismo che avrebbe dovuto mutare il cammino del Paese, proprio qui ha mostrato il suo volto logoro, consegnandoci una ciurma di personaggi spesso inguardabili. Altro che governanti tratti dal mondo magico delle professioni, della sapienza e della virtù. Al loro posto, vecchi politicanti riciclati, giovani senza nerbo né cultura, doppimenti cospicui e dentiere fameliche. Scriveva Montanelli che il fascismo cadde per i cortigiani che affollavano le stanze di Mussolini. Prima la gente era indulgente, poi cominciò a riflettere e a chiedersi: perché si circonda di incapaci, sarà un incapace? Al netto delle differenze storiche e psicosomatiche, è la parabola di Berlusconi in Sicilia. Un duce lontano e tanti Starace, Farinacci e Pavolini con l’accento di Monte Pellegrino, a dividersi la tunica di un popolo in croce.