Soldi al sicuro e zero benefit | Ars, i giorni della grande paura - Live Sicilia

Soldi al sicuro e zero benefit | Ars, i giorni della grande paura

Da quando l'indagine che sta sconvolgendo Palazzo dei Normanni ha mosso i primi passi, le abitudini dei politici sono cambiate. Potremmo chiamarla una spending review nata dalla paura...

il caso spese pazze
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PALERMO – Fondi chiusi nelle casseforti, autoblu pagate di tasca propria, zero benefit ai dipendenti. L’indagine della Guardia di Finanza sulle “spese pazze” del parlamento siciliano ha cambiato drasticamente il modo di gestire i fondi dei gruppi all’Ars già più di un anno fa, quando gli ufficiali delle fiamme gialle sono piombati, per la prima volta, nelle stanze del Palazzo.

L’esito arrivato qualche giorno fa, gli avvisi di garanzia, erano ancora lontani, ma i capigruppo appena insediati erano già in campana. Alcuni quasi terrorizzati. E così ha avuto inizio quella che, per i gruppi dell parlamento regionale è stata – soprattutto in alcuni casi – una vera e propria “stagione di austerity”. Le risorse non erano ancora state ridotte, le casse di Palazzo dei Normanni davano ancora ai gruppi più di 3 milioni e mezzo all’anno (escluse le spese per pagare i dipendenti ‘stabilizzati’), ma di quella somma non è stato speso quasi nulla.

Il capogruppo del Partito democratico Baldo Gucciardi racconta, ad esempio, di avere eliminato quasi tutte le spese che non siano i pagamenti ai dipendenti: in più di un anno il gruppo Pd ha pagato soltanto per organizzare un convegno sulla sanità al quale parteciparono pure l’assessore Lucia Borsellino e il presidente della Regione Rosario Crocetta. E persino la scelta della sala è stata fatta contando il centesimo. Qualcosa, poi, è stata spesa per le famose cialde del caffè, e per i boccioni d’acqua da tenere nelle stanze del gruppo. Per il resto è stato razionato persino il materiale di cancelleria. A partire dalle penne. Non si pagano più i rimborsi per le spese telefoniche agli addetti stampa, non esiste più l’integrazione agli stipendi. “Abbiamo sempre pagato le integrazioni ai dipendenti del gruppo – racconta Gucciardi – perché spesso i finanziamenti garantiti dall’Assemblea non riuscivano a coprire l’intero importo di un contratto. Pagavamo con i soldi che l’Ars dava ai gruppi (2.400 euro al mese per deputato), ma da quando mi sono insediato abbiamo bloccato tutto”. E qualcuno racconta anche che – per questo – le tensioni tra personale e politici (di tutti i gruppi) si sono fatte sempre più grandi. Fino a quando non si è arrivati anche alle urla.

Va detto, però, che nel caso del Pd la gestione precedente – quella di Antonello Cracolici – aveva lasciato i conti molto più che a posto. Come raccontato da lui stesso in conferenza stampa, Cracolici ha lasciato il suo incarico di capogruppo con un avanzo finanziario di 800mila euro ‘risparmiati’ in 5 anni. E adesso, sul conto del gruppo, potrebbe già esserci una cifra a sei zeri, accumulata solo in un anno. Situazioni simili si trovano un po’ ovunque.

Il capogruppo del Pid-Grande Sud Toto Cordaro, ad esempio, paga per la sua auto di servizio (un Audi) di tasca propria. Una spesa che, in realtà, è previsto che si paghi con i contributi destinati al gruppo, ma che Cordaro ha preferito ‘dirottare’ direttamente sul suo portafoglio. Per il resto, anche al Pid, nessuna spesa extra. Niente integrazioni contrattuali ai dipendenti, niente benefit, conti a posto. “Non so ancora dire di che cifra parliamo perché ricostruire i passaggi è difficile: abbiamo chiuso e riaperto la partita Iva quando il gruppo ha cambiato nome, diversi deputati sono entrati e usciti dal gruppo, poi la fusione con Grande Sud. Ma anche noi siamo in attivo”. Una scelta, quella di limitare le spese, che nel caso di Cordaro non ha a che fare solo con il decreto Monti, e nemmeno con le indagini. “C’è un’emergenza sociale – dice – che non consente di spendere come si vuole. Questo, però, non significa che pagare l’autoblu di tasca mia sia ‘giusto’. Il costo della politica è il costo della democrazia, ma se deve diventare ipotesi di reato non abbiamo più di che discutere”.

Nessun buco di bilancio neanche per l’Udc. “Appena diventato capogruppo – racconta Lillo Firetto – ho preteso di adottare un regolamento di contabilità pubblica. Di fare un inventario. Ho nominato un revisore dei conti che ci mettesse al riparo dal cose poco trasparenti. Vietato l’acqua in bottiglia, niente rimborsi per il caffe’ al bar, risparmiamo comprando le cialde (anche loro, ndr)”. Così, l’Udc ha accumulato, in un anno, un ‘tesoretto’ di circa 200.000 euro.

Roberto Di Mauro (capogruppo del Pds-Mpa), invece, non prende l’indennità di capogruppo: circa 1500 euro al mese. “Ma ho rispettato tutti i contratti dei dipendenti”. Sì, quindi, alle integrazioni agli stipendi, ma quello del Pds è l’unico caso. “Mi sembra la cosa più naturale del mondo, così si rientra nei parametri dei contratti collettivi. La Guardia di Finanza dice che non si può? A dirlo sarà un giudice, e ci darà ragione”.

In linea di massima, i soldi dei gruppi, per ora, restano nei conti correnti. “Aspettiamo che ci dicano come possiamo spenderli”, affermano i presidenti dei gruppi del parlamento regionale. Unica eccezione, il Pdl. Che deve risanare un buco di circa 300.000 euro trovato ad inizio legislatura. “Abbiamo impegnato i soldi solo per i contratti esterni (4 o 5) – dice il vicecapogruppo Marco Falcone – , per qualche iniziativa politica e poi per spese di funzionamento: computer, cancelleria. Abbiamo bloccato le integrazioni degli stipendi, e non perché ce lo diceva un decreto, ma perché in alcuni casi erano già troppo alti”.

Nonostante questo, sulla carta al Pdl resta un buco di 51mila euro. E adesso è arrivato anche il decreto Monti, e l’Ars garantirà ad ogni singolo gruppo una somma pari a 700 euro al mese moltiplicata per il numero dei deputati che ne fanno parte. Ma nelle stanze dei partiti dell’Ars, la spending review è cominciata già da tempo. Ad imporla, non una legge, ma la paura.


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