CATANIA – Una vigilia di ferragosto caldissima oggi nel carcere di Bicocca. In una delle aule bunker si sono svolte le udienze di convalida dei cinque fermati per la sparatoria di sabato scorso a Librino. Non si è sottratto alle domande della gip Marina Rizza e dei magistrati l’indagato chiave dell’inchiesta dei carabinieri Carmelo Di Stefano, ritenuto (almeno fino a qualche anno fa) il punto di riferimento dei Cursoti Milanesi a Catania. Imputato nel processo Final Blow (quello scaturito dall’inchiesta del 2015 che rase al suolo il clan creato da Jimmy Miano), il boss – oggi accusato di omicidio – nel 2018 è tornato libero per aver scontato le sue condanne.
Il 50enne ha respinto le accuse, ribadendo la sua estraneità a quanto accaduto al viale Grimaldi 18. Sabato sera sarebbe stato da tutt’altra parte. Le indagini dei carabinieri però portano a tutt’altra ricostruzione: sarebbe stato infatti lui la ‘mente’ della risposta di fuoco alle tensioni (scatenate da futili motivi personali) con alcuni personaggi delle file dei Cappello. Orbita criminale da cui provenivano le vittime (Enzo Scalia e Luciano D’Alessandro) e tre dei feriti.
L’indagine ha fatto scattare le manette ad altri pezzi (anche storici) della cosca dei Cursoti Milanesi: Santo Tricomi, Roberto Campisi, i fratelli Antonino e Martino Sanfilippo (tra i feriti della sparatoria). Alcuni hanno ribadito la loro innocenza alla giudice. Le difese hanno chiesto la remissione in libertà dei loro assistiti. La gip si è riservata di decidere. Lunedì arriverà la decisione.