Spari, minacce e testimone: l'agguato che ha incastrato i Laudani

Gli spari e le minacce: l’agguato che ha incastrato i Laudani

Il blitz che ha portato in carcere gli esponenti della famiglia mafiosa e che ha avuto origine da una sparatoria.

CATANIA – Parte tutto da alcuni proiettili sparati su un’auto. Il blitz Terra Bruciata, che ha portato in carcere 21 persone per associazione mafiosa e altri reati, ha origine nelle indagini su una sparatoria per strada, da cui i Carabinieri hanno poi ricostruito l’assetto del clan Laudani nella zona di Randazzo, i suoi capi e le attività in cui era coinvolto.

Gli spari

Sera dell’otto giugno 2018. Un uomo, Antonino Zammataro Costanzo, sta guidando la sua auto quando è raggiunto da alcuni colpi di arma da fuoco. Dell’evento non dice nulla alle forze dell’ordine, ma ai Carabinieri di Randazzo arriva lo stesso una voce su quegli spari e convocano Costanzo in caserma per farsi raccontare l’accaduto.

L’uomo dice di essere vivo per miracolo, e che gli spari potrebbero essere un ulteriore avvertimento da parte di Samuele Portale, nipote di Salvatore Sangani, che a Randazzo è il responsabile per la famiglia dei Laudani. Costanzo ha infatti iniziato a spacciare droga nel randazzese, e Portale, prima di sparare sulla sua auto, gli aveva già detto a fine 2017 di smettere con quell’attività.

La richiesta di protezione

Parlando con i Carabinieri, Costanzo aggiunge che dopo la sparatoria ha cercato una mediazione: tramite Salvatore Trovato di Giarre Costanzo fa intervenire Paolo Di Mauro, responsabile del clan Laudani per l’area jonico – etnea. Di Mauro (morto nel corso delle indagini, nel gennaio 2021) rassicura Costanzo, dicendogli che può stare tranquillo se si limita a svolgere solo ed esclusivamente la sua attività, quella di macellaio.

Le minacce

La situazione però non si tranquillizza, dato che Samuele Portale il 20 ottobre successivo va nella macelleria in cui lavora Costanzo Zammataro e lo minaccia proprio a causa delle dichiarazioni rese ai Carabinieri sul suo conto. Portale è intercettato mentre dice a Costanzo: “Vedi che ti taglio la testa, ti dò un colpo di accetta sulla testa, chiuditi la bocca, devi stare attento solo a quello che pensi. Te li sei giocati i jolly, non ne hai più”.

Più avanti, sempre Portale è intercettato al telefono mentre riferisce le minacce fatte a Costanzo: “Gli ho detto ‘prendo un crocco (gancio da macellaio ndr) te lo infilo da qui sopra e te lo faccio uscire di qua’. Gli ho detto io ti vengo a prendere a casa mentre che dormi, vedi che io cosa da dietro non ne faccio. Gliene ho dette di tutti i colori”.

Il testimone reticente

Qualcuno a Randazzo mette in giro la voce che la sera degli spari insieme ad Antonino Zammataro Costanzo ci fosse il cugino, Daniele. Il quale però è reticente a testimoniare ed è intercettato mentre parla con la moglie proprio del suo silenzio: “gli ha detto uno che c’ero io con lui, e caso mai poi mi chiamano alla Procura e poi gli dico io non c’ero con mio cugino. Stop. Perché io non c’ero, possono scrivere tutti i verbali che cazzo vogliono. Se io non c’ero non c’ero, io lavoro e voglio stare tranquillo”.

L’organizzazione

Gli investigatori a questo punto tirano le somme: le modalità dell’agguato con gli spari a Costanzo, il coinvolgimento di Portale e la ritrosia a parlare di un testimone fanno ritenere, si legge nell’ordinanza del Gip di Catania, “che l’evento fosse maturato nel contesto malavitoso gravitante intorno al clan Sangani, che evidentemente era ancora vitale nel territorio di Randazzo”.

Da quegli eventi sarebbero partite poi le intercettazioni contro tutti gli altri membri del clan, che avrebbero permesso di scoprire i traffici illeciti nella zona del randazzese.


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