E’ stato svenduto il Washington Post e non poteva essere altrimenti se la qualità cui s’era ridotto il giornale americano è quella del reportage dalla Sicilia, by Anthony Faiola, con Stefano Pitrelli, dove del governatore Rosario Crocetta – manco fosse Dick Tracy, Tex Willer o, meglio, Johnny Stecchino ??– si raccontano le gesta per via del noto problema: “A conservative bastion of the Catholic Churc, machismo and the mafia”.
Cosa Nostra country nientemeno. Tutto l’articolo è un soggetto del pittoresco dove i problemi dei siciliani sono ridotti a una serie di dettagli e di spunti buoni per una serie televisiva basata sulle vicende di una simpatica comitiva di omosessuali impegnati a cavarsela nell’isola dei feroci maschi mafiosi cattolici. Anche come reality, questo Cosa Nostra country, non sarebbe male: si mandano delle celebrities a trascorrere un mese a Canicattì, a Carrapipi o a Grotte – Lady Gaga e Madonna sarebbero perfette – e così, insieme al governatore eroe che “ha aiutato a mettere centinaia di gangster dietro le sbarre”, fanno a gara a chi ne emancipa di più di cattolici machi mafiosi.
Il giornalista americano usa spesso “crusade”, che è “crociata”, e i primi otto mesi del governo Crocetta sono raccontati in un modo geneticamente me-ra-vi-gli-oso! Dice il Faiola: “Quel gioiello che è la Sicilia ora è un dono da passare di mano in mano”. Per dirla con Giuseppe Falci che su Linkiesta ha fatto al collega americano il pelo e il contropelo – “elogia ma non dice nulla” – nel pezzo non c’è la finta abolizione delle province, il dietrofront dell’Irpef, o i 18.000 euro spesi per la visita di Martin Shultz. E niente c’è sul disastro dell’Irsap, l’ente industriale siciliano. Come niente di niente del “modello Sicilia”: i CinqueStelle sono ormai contro Crocetta.
Cosa Nostra country però. “Solo i punciuti”, dice Crocetta, “si lamentano”. Ancora ieri, a noi che osiamo criticare, ci ha onorato di un messaggio: “C’è una parte dell’informazione che sta giocando sporco”. Dopo di che, minaccia: “E vedremo anche che rapporti di parentela ci sono”. Questa del dna è una sua fissazione. Dopo una gaffe a proposito di un Carmelo Bontempo Scavo, “geneticamente mafioso” ma mai imputato di mafia, ha precisato che la famiglia biologica deve distinguersi dalla famiglia mafiosa per riconoscere tutt’al più “un’appartenenza genetica”.
A Crocetta restano da vedere le parentele dei giornalisti. Urca, la minaccia. Ma coi potenti mezzi dell’antimafia chiodata di cui dispone (nel suo esercito della purificazione ha reclutato persino l’ex pm Antonio Ingroia), che fa, Crocetta non se la gioca ora la carta della mascariata e magari a noi – noi che non siamo il WP – ci scopre tutti geneticamente mafiosi?