Truffa a Trapani nella filiera ittica, tre denunciati - Live Sicilia

Trapani, truffa su fondi Ue nella filiera ittica e del sushi: tre denunciati

Chi sono gli imprenditori indagati

TRAPANI – La presunta truffa, così sostengono gli investigatori, ammonterebbe a 4,5 milioni di euro. Sono i soldi che tre imprenditori del settore ittico avrebbero incassato senza averne diritto dall’Unione europea attraverso le amministrazioni regionali di Sicilia, Toscana e Lazio. L’ultima tranche dei finanziamenti è stata incassata lo scorso marzo.

I finanzieri del comando provinciale di Trapani hanno eseguito un provvedimento cautelare emesso dal gip di Tivoli su richiesta della Procura europea (Eppo) di Palermo e Roma.

Pietro Lococo, romano di 63 anni, è finito agli arresti domiciliari. Obbligo di dimora per Paolo De Marzi, 56 anni di Roma, e Libero Dipaola, anch’egli di 56 anni, originario di Catania ma residente a Guidonia. Disposto il sequestro preventivo di beni, finalizzato alla confisca, fino a raggiungere la cifra di 4,5 milioni di euro.

Le indagini

Gli indagati nell’inchiesta “Goldfish” sono sei (figurano anche i nomi di Luca Tinelli, Ludovica Lococo e Alessandra mercadante). A loro sono riconducibili società con sede a Petrosino (in provincia di Trapani), Roma, Guidonia e Piombino che operano nel campo dell’acquacoltura con una filiera che parte dall’allevamento dell’avannotto fino alla produzione di sushi per supermercati e ristoranti.

Al centro delle indagini del nucleo di Polizia economico-finanziaria di Trapani i contributi a fondo perduto del Fondo europeo per gli affari marittimi e per la pesca 2014/2020. Una serie di società, fra cui Avanottiera e “Ittica San Giorgio società agricola”, avrebbero ottenuto i finanziamenti per riattivare il sito della Ittica Mediterranea di Petrosino.

Lo schema della truffa

Secondo la contestazione provvisoria degli investigatori, i lavori sarebbero stati affidati dalle società a “una sola ditta (la Aqua srl), solo apparentemente terza, ma, di fatto, avente stessa compagine societaria delle committenti permettendo una fittizia maggiorazione delle voci di costo ai fini della rendicontazione finale attraverso la sovrafatturazione delle spese oggetto dei contributi pubblici”. Ed ancora: “I profitti del reato delle truffe confluivano nei conti della società interposta, al cui amministratore di diritto veniva solo fittiziamente attribuita la titolarità”.

“Ciò – spiegano dalla guardia di finanza- avrebbero permesso al dominus dell’associazione di utilizzare il prodotto del reato per pagare personale dipendente, acquistare materiale e onorare le fatture delle diverse società del gruppo”. I reati contestati ai sei indagati sono, a vario titolo, associazione per delinquere, frode aggravata per ottenere finanziamenti pubblici, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.

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