PALERMO – È un braccio di ferro infinito. Da una parte i pubblici ministeri di Palermo, i quali sostengono che la frase dello scandalo – la Borsellino “va fatta fuori come il padre” – non esiste, e dall’altra gli avvocati dei cronisti de L’Espresso secondo cui, bisogna continuare a cercare perché le parole sarebbero state pronunciate.
La nuova puntata della storia che infiammò la cronaca giudiziaria l’estate scorsa arriva oggi nel corso dell’udienza preliminare davanti al giudice Giangaspare Camerini. Gli avvocati Carlo Federico Grosso, Nino Caleca e Fabio Bognanni, che difendono i giornalisti Piero Messina e Maurizio Zoppi, accusati calunnia e pubblicazione di notizie false, hanno chiesto un nuovo incidente probatorio per ascoltare in aula tutte le intercettazioni fra Matteo Tutino e il presidente della Regione. Sarebbe stato il primo, medico personale di Crocetta, secondo quanto scritto sul Settimanale, a pronunciare la frase davanti ad un silente governatore. Oppure, in subordine, i legali hanno chiesto una nuova perizia sulle conversazioni.
In precedenza, un altro giudice, Agostino Gristina, aveva disposto la perizia parziale sulle intercettazioni tra Tutino e il governatore siciliano, limitando il riascolto e la trascrizione ad una sola parte delle intercettazioni perché era ancora aperta l’indagine per truffa e peculato nei confronti di Tutino. Ora quell’indagine è chiusa e, dicono i legali, è venuto meno il segreto istruttorio. Il giudice Camerini si è riservato sulla richiesta. L’udienza è stata rinviata al 20 settembre, giorno in cui si conoscerà anche il parere della Procura.
Procura che ha sempre smentito l’esistenza della frase dello scandalo: non esiste in alcun fascicolo aperto dall’ufficio giudiziario. Insomma, Tutino non disse a Crocetta, senza provocare nel governatore alcuna reazione, che l’allora assessore Borsellino “va fatta fuori, come suo padre”. Semmai, come ha riferito un investigatore, il medico “talvolta si augurava che venisse fatta fuori dall’incarico ricoperto e non certamente dal punto di vista fisico”.
La Procura della Repubblica mesi fa ha chiesto il rinvio a giudizio di Zoppi e Messina. La pubblicazione dell’articolo creò un caso politico e diede il via a un’indagine zeppa di intercettazioni, verbali e pedinamenti. Non solo, il governatore siciliano ha annunciato una richiesta milionaria di risarcimento danni.
Tutto inizia il 16 luglio scorso, quando il sito on line del settimanale anticipa la notizia che fa il giro d’Italia, tanto da scomodare persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il premier Matteo Renzi, pronti a esprimere solidarietà all’assessore regionale e figlia del giudice ucciso dalla mafia, che poi lascerà l’incarico. Il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, chiama i carabinieri del Nas e chiede che vengano riascoltate tutte le telefonate dell’indagine a carico di Tutino, nel frattempo finito ai domiciliari per una storia di interventi di chirurgia estetica eseguiti nell’ospedale pubblico dove fa il primario. Alle 17 dello stesso giorno i carabinieri scrivono: “Si esclude che esiste una conversazione del tenore”.
All’indomani, quando il fascicolo è già stato aperto, in Procura giunge la relazione del tenente colonnello Nicola Laganà. Il militare, in servizio al comando provinciale di Palermo, racconta che il pomeriggio della pubblicazione Messina è andato a trovarlo in caserma in compagnia di Giuseppe Montalto, coordinatore della segreteria particolare dell’assessorato regionale alle Infrastrutture (Montalto riferirà poi che era un modo per tranquillizzare Messina molto preoccupato per la vicenda). Il giornalista gli ha detto che “la telefonate era veritiera in quanto gli era stata fatta ascoltare un anno fa dal capitano Mansueto Cosentino (era l’ufficiale del Nas che coordinava le indagini su Tutino, ndr)”. La relazione di Laganà è alla base dell’ipotesi di calunnia che si configura quando si accusa qualcuno falsamente davanti a un pubblico ufficiale.
Il 20 luglio il procuratore aggiunto Leonardo Agueci attende che Cosentino sbarchi a Bari di rientro da una crociera. Lo interroga e il militare nega di avere fatto ascoltare la telefonata dello scandalo. Smentisce ciò che i due giornalisti metteranno a verbale. Messina, interrogato dai pm, racconta infatti che da tempio circolava a Palermo la storia della telefonata. A giugno, nel corso di un incontro con Cosentino nei pressi di piazza Politeama, così raccontano i due giornalisti, l’ufficiale gli avrebbe fatto ascoltare “alcune battute, pochissimi secondi in verità, di ciò che sembrava essere un dialogo… che sembrava ricondurre proprio alla famosa intercettazione che riguardava l’assessore Borsellino”. Il mese dopo – è sempre Messina a raccontarlo – nel corso di un nuovo incontro con Cosentino avrebbe ricevuto conferma che “si poteva scrivere la frase incriminata”. Zoppi aggiunge di avere ascoltato una telefonata in cui l’ufficiale “praticamente dettava al collega quello che avrebbe dovuto scrivere”. E anche lui si ritrova così indagato per calunnia.
Il fascicolo si ingrossa poi con quello che i pm definiscono il “maldestro e infruttuoso tentativo di coinvolgere Bernardo Petralia”. Si tratta del procuratore aggiunto che, a detta dei due cronisti, avrebbe confermato la notizia. Pure il magistrato stila una relazione di servizio. Zoppi, pur ammettendo “che il pm aveva delle perplessità sul riferimento al padre della dottoressa Borsellino”, dice, però, che “per me quella risposta costituiva una conferma”. Ecco, perché, il procuratore Lo Voi parla di “maldestro tentativo di trovare delle coperture”.
Il 20 luglio i pm chiedono a Cosentino se “ha mai sentito una conversazione di tale tenore anche al di fuori di quelle intercettate”. Risposta: “Lo escludo. Se ben ricordo invece Tutino, riferendosi, alla Borsellino si augurava che venisse fatta fuori dall’incarico ricoperto. Non ricordo se ciò sia stato oggetto di conversazione tra Tutino e Crocetta, e non piuttosto tra Tutino e altre persone”.
L’esistenza della conversazione di cui, però, non c’è traccia agli atti giudiziari, spinge il giudice per le indagini preliminari Gioacchino Scaduto a respingere la richiesta della Procura di processare i due indagati con il rito immediato. Secondo il giudice, la frase di Cosentino apre una falla nell’evidenza della prova, condizione necessaria per il processo immediato. Per la Procura, però, cambia poco e arriva la richiesta di rinvio a giudizio. Il resto è storia recente. Compresa la costituzione di parte civile del capitano Mansueto Cosentino, assistito dall’avvocato Massimo Motisi. Il militare non ha dubbi: la notizia era ed è falsa.