Quel 23 maggio, forse (lo scriviamo nel rispetto di un mistero), ebbero il tempo di cercarsi ancora una volta con gli sguardi. E di soffrire l’uno per l’altro, mentre la vita li abbandonava. Ci viene in mente questo doloroso pensiero, a proposito dell’amore intoccato del dottore Giovanni Falcone e della dottoressa Francesca Morvillo.
Anche Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, i ragazzi della scorta, erano al centro di relazione affettive, dell’amore e dei legami. Pure per loro e per chi stava accanto lo strappo fu insanabile. Lo ricordiamo nell’indistinto bruciore di una tragedia.
L’amore di tutti. L’amore del dottore Falcone e della dottoressa Morvillo, costellato di pudore, bigliettini. Ecco cosa rimane.
“Una esistenza segnata dall’impossibilità di essere normali – ricordava Felice Cavallaro, grande inviato del ‘Corriere della Sera’ -. Progetti una vacanza? Un omicidio e sei nel gorgo del dolore. La scorta che accompagna i movimenti, il non potere uscire fuori a cenare da soli… Un sogno di normalità che si era realizzato soltanto nelle ultime settimane, a Roma”.
“Lei gli teneva testa. Correggeva i suoi appunti. Era presente, dolcissima. Una coppia affiatata e innamorata. Chi ha messo il tritolo a Capaci, ha distrutto, oltre al resto, una grande storia d’amore”. Sono le parole commosse di Giovanni Paparcuri, storico collaboratore dei giudici Falcone e Borsellino.
Qualche volta ci sfugge il centro dell‘abisso, quando ci convinciamo – chissà perché – che la pelle degli eroi assume la levigata impenetrabilità del marmo dei monumenti. Non è mai così. Ogni deflagrazione esistenziale devasta i corpi delle vittime, crea il rimpianto dei sopravvissuti. Soltanto l’amore è immortale, intoccabile, salvo, nelle memorie e nelle speranze. Perché l’amore – lo abbiamo imparato nelle nostre vite – non ha mai fine.