Ustica ci fa ancora male - Live Sicilia

Ustica ci fa ancora male

L'anniversario della strage
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Ustica ci fa ancora male. Pensiamo di avere rimosso la coscienza del dolore e con essa il taglio profondo dall’epidermide ai sentimenti. Nell’era glaciale della nostra indifferenza, camminiamo sui tappeti che coprono la polvere. Ma la legge non scritta di ogni terremoto ci condanna. Lo strazio che non affiora alla luce, scava dentro. E’ un grumo di sangue carsico. Tu pensi che non ci sia. Lui, nel frattempo, occupa ogni apertura sensibile. E ti uccide.
Era il 27 giugno del 1980. Le scene consuete di un aereo le conosciamo. Abbiamo afferrato le ali di un apparecchio troppe volte, per non sapere a memoria il senso di sgomento e di fragilità che ti sommerge. I più forti dissimulano. I più fragili pregano, riscoprendo le antiche giaculatorie da chierichetto. Hai un bel dirti che si muore di più alla guida di una macchina. E’ vero. Ma il volo dei terrestri si riflette nella percezione di una scommessa fondamentale. E’ che stacchi i piedi dal suolo, senza la vocazione al cielo e alle correnti d’aria. Fu così pure quel giorno, nella carlinga doveva esserci la stessa sfumatura di scongiuri, affetti e Pater Noster. Nella consuetudine, il ghiaccio si scioglie nella serenità del volo e dell’approdo. Non andò così. E questa è la storia delle persone che morirono. C’è poi la storia della giustizia. Anzi, dell’ingiustizia

L’agenzia Adnkronos racconta nella sua impeccabile e dettagliata ricostruzione: “Sono passati 31 anni dal disastro aereo di Ustica, quando un Dc9 dell’Itavia si inabissò in mare provocando la morte di 81 persone. Una tragedia dai contorni mai chiariti, rimasta senza colpevoli, che ha prodotto in tre decenni inchieste della magistratura, interrogativi e polemiche e che rappresenta ancora oggi un mistero insoluto. Il volo IH870 decolla alle 20.08, con due ore di ritardo, da Bologna alla volta di Palermo. L’ultimo contatto radio tra il velivolo e il controllore è delle 20.58. Poi alle 21.04, chiamato per l’autorizzazione di inizio discesa su Palermo, il volo non risponde. Alle altre chiamate replica solo un silenzio inquietante. L’aereo è disperso. Cominciano le ricerche e per tutta la notte elicotteri, aerei e navi perlustrano la zona. Solo alle prime luci dell’alba, ad alcune decine di miglia a nord di Ustica , una chiazza oleosa e i primi relitti fanno capire cosa è avvenuto: il velivolo è precipitato al largo dell’isola del palermitano, in un tratto del mar Tirreno in cui la profondità supera i tremila metri.

Immediatamente vengono avviate le indagini. Dal ministero dei Trasporti e dalla magistratura. Tre procure aprono un fascicolo: quella di Bologna, luogo di partenza del volo, quella di Palermo, dove il velivolo avrebbe dovuto atterrare, e quella di Roma, in cui ha sede legale la società Itavia. L’allora ministro dei Trasporti, Rino Formica, nomina una commissione d’inchiesta, la cosiddetta Luzzati, che, però, dopo la presentazione di due relazioni preliminari si autoscioglie nel 1982 per contrasti di attribuzione con la magistratura. Anche le Procure di Palermo e Bologna rimettono per competenza i propri atti a Roma. Sui pochi relitti del velivolo vengono ritrovate tracce di esplosivi TNT e T4 in proporzioni compatibili con ordigni militari. I periti concludono che senza l’esame del relitto non è possibile chiarire se il Dc9 cadde per un’esplosione interna, vale a dire una bomba o esterna, quindi un missile. In ogni caso, però, viene esclusa l’ipotesi inizialmente sostenuta di un cedimento strutturale. Spiegazione ufficiale della tragedia, che porterà infine la società a sciogliersi. Dal 1982 dell’indagine si occupa il giudice istruttore Vittorio Bucarelli, che nomina una nuova commissione di periti. E’ il 1987 quando la ditta francese Ifremer comincia le operazioni di recupero della carcassa del Dc9, ad una profondità di oltre tremila metri. Servono, però, due campagne di lavori ed alcuni anni per riportare in superficie circa il 96% del relitto. Nel frattempo anche la Commissione Stragi, presieduta dal senatore Libero Gualtieri, comincia ad occuparsi della vicenda, contestando una serie di reati a numerosi militari in servizio presso i centri radar di Marsala, in provincia di Trapani, e Licola nei pressi di Napoli.

Prende corpo la tesi dei depistaggi ed inquinamenti delle prove che avrebbero impedito agli inquirenti di far luce sulle cause della strage. E’ l’inizio di una seconda fase delle indagini e al giudice Bucarelli subentra Rosario Priore. Da questo momento in poi ingenti risorse umane e finanziarie vengono impiegate per dimostrare il cosiddetto ‘scenario aereo’ e il suo occultamento. La sentenza-ordinanza Priore viene depositata nell’agosto del 1999. Nonostante le lunghe indagini, il recupero di una parte consistente del relitto e le centinaia di pagine dei periti non ci sono ‘prove definitive e certe’ per individuare i colpevoli del disastro aereo. Nella sentenza, comunque, viene stabilito che il Dc9 Itavia è rimasto coinvolto in uno scenario di battaglia aerea avvenuto nei cieli italiani. Le reticenze e le false testimonianze, secondo la sentenza Priore, hanno ostacolato le indagini, inquinando le informazioni su quanto accaduto. Per il giudice a causare il disastro potrebbe essere stata la collisione con un missile o con un altro velivolo. I responsabili materiali del disastro, però, non possono essere individuati conclude il giudice Priore e, quindi, essendo ignoti gli autori non si può procedere in ordine al delitto di strage.

Ma l’inchiesta non manca di sviluppi giudiziari dal momento che diversi militari italiani vengono rinviati a giudizio per i presunti depistaggi. Nel settembre del 2000 nell’aula bunker di Rebibbia si apre il processo davanti alla terza sezione della Corte d’Assise di Roma a carico di quattro generali, vertici dell’Aeronautica del tempo: Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo. Molti i reati contestati dal falso ideologico all’abuso d’ufficio e favoreggiamento fino all’alto tradimento. Dopo quasi 300 udienze e migliaia di testimoni ascoltati il 30 aprile del 2004 la Corte assolve i quattro generali da tutte le accuse contestate. Mentre per un capo d’imputazione nei confronti di Bartolucci e Ferri, in merito alle informazioni sbagliate che i due militari fornirono alle autorità politiche, viene dichiarata la prescrizione del reato. Viene presentato il ricorso in appello, ma anche la Corte d’Assise d’Appello di Roma il 15 dicembre del 2005 assolve, perché il fatto non sussiste gli imputati, i generali Bartolucci e Ferri. Per i giudici non ci sono prove a sostegno dell’accusa di alto tradimento.

La Procura generale di Roma propone il ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello del 2005, ma il 10 gennaio del 2007 la prima sezione penale della Corte di Cassazione conferma la sentenza pronunciata dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma e dichiara il ricorso inammissibile. L’assoluzione diventa definitiva. Il 21 giugno del 2008, a 28 anni dalla strage, l’inchiesta su Ustica viene riaperta dopo le dichiarazioni di Francesco Cossiga, presidente del Consiglio all’epoca dei fatti, secondo il quale ad abbattere l’aereo sarebbe stato un missile ”a risonanza e non ad impatto”, lanciato da un aereo francese. E’ dello scorso anno, infine, la presa di posizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che l’8 maggio 2010 sottolineò l’esistenza oltre che di ”intrecci eversivi, anche di intrighi internazionali, che non possiamo oggi non richiamare, insieme con opacita’ di comportamenti da parte di corpi dello Stato, ad inefficienze di apparati e di interventi deputati all’accertamento delle verità”.

E questa è la trama di una sete di verità negata. Caro lettore, se hai letto tutto fino in fondo, vuol dire che il dolore collettivo di un Paese sta finalmente emergendo con più forza. Se hai lasciato l’articolo a metà, o se sei andato subito a scorgere il finale, vuol dire che non c’è più speranza per la giustizia dei morti. E per la dignità dei vivi.


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