"Questo Pd non va bene, nessuno mi taglierà le gambe"

“Questo Pd non va bene, nessuno mi taglierà le gambe”

Papà Giorgio. La vittoria nella disfatta. Le polemiche. Tutta Chinnici (Valentina).
INTERVISTA CON VALENTINA CHINNICI
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5 min di lettura

Onorevole Valentina Chinnici, togliamoci il dente prima del caffè: sarà vero che lei potrebbe essere stata parzialmente favorita, nella sua elezione, dal cognome condiviso con Caterina Chinnici, candidata alla presidenza della Regione.
“Chi l’ha detto?”.

Antonello Cracolici, riconoscendo, tuttavia, i suoi meriti….
“Ah, sì, avevo letto. L’unico cognome che mi ha aiutato è quello di Giorgio, mio padre, semmai. Aspetti, che prendo una granita…”.

Qui, a Mondello, in piazza, il mare luccica, come da copione, mentre il vento tira addosso ai passeggianti ondate olfattive di sporco e di munizza. Siamo, per un fatto casuale e non ideologico, dalla parte opposta del luogo della chiacchierata con Edy Tamajo, il recordman forzista all’Ars. Ma anche Valentina Chinnici, con i suoi oltre settemila voti, nella lista del Pd, ha sbaragliato la concorrenza interna, approdando a sala d’Ercole.

Dunque, il fatto del cognome.
“Ringrazio Antonello Cracolici per gli elogi che mi ha tributato nell’intervista che ha fatto con lei. Quella del cognome penso che fosse una battuta. Il vero cognome che conta è quello di Giorgio, il mio adorato papà che manca da due anni. Fu secondo presidente del consiglio comunale di Palermo, negli anni della Primavera, dopo Nino Caponnetto. Era un uomo attentissimo agli ultimi. A casa nostra trovavi il magistrato e l’ex detenuto. Quanto a me…”.

Quanto a lei?
“Sono alla seconda consiliatura a Palazzo delle Aquile. Ho preso tanti voti, segno di un consenso di cui posso soltanto essere grata. Non credo che un partito come il Pd si impegni a sminuire una esponente della società civile quale io sono. Ora mi iscrivo, però”.

Cosa pensa di questo Pd nazionale e siciliano?
“Non sono il tipo che dispensa ricette. Credo, per quanto mi riguarda, di potere essere un valore aggiunto. Probabilmente manca, come diceva Gramsci, quella ‘connessione sentimentale’ con chi conosce la fatica del vivere ogni giorno e non può appassionarsi alle discussioni su campo largo e affini. Ci vogliono passione e spazi di ascolto incessante. Se li metteremo in circolo, gli elettori torneranno. Ma serve entusiasmo”.

Cosa non le è andato, nello specifico, del Pd siciliano?
“Intanto, devo dire che sono stata cercata dal segretario regionale, Anthony Barbagallo, e dal segretario provinciale, Rosario Filoramo, che mi hanno chiesto di candidarmi, dimostrando di possedere un orizzonte aperto. Ma il meccanismo dei candidati principali è da rivedere. Franco Miceli è stato scelto, a Palermo, dalla segreteria, nella difficile partita della sindacatura. Con Caterina Chinnici si sono svolte, almeno, le primarie, però era già il nome indicato dal vertice. Ho sostenuto lealmente entrambi, dopodiché vorrei che fossero ascoltate le indicazioni dalla base”.

Perché, insistiamo, i democratici risultano sconfitti, in Sicilia e non solo? E perché non si candida mai qualcuno del partito nelle sfide importanti?
“Forse perché non è cresciuta una classe dirigente, è venuta a mancare quella scuola di formazione politica a cui assolvevano i partiti in passato. Latitano le sezioni e non c’è presenza attiva sul territorio, tranne laddove ci sono alcuni amministratori validi e appassionati che ho avuto la fortuna di incontrare in questo cammino”.

Sempre Cracolici sostiene che nelle sezioni, ormai, si giocava a carte.
“Bisogna proprio capire perché hanno smesso di essere luoghi di elaborazione oltre che di aggregazione. Noto uno scollamento. Ci sono tanti bravi amministratori democratici in giro, come dicevo, però, spesso, finiscono col sentirsi soli”.

Tanti vedono in lei un nuovo punto di riferimento. Questo un po’ la angoscia, nel senso del carico che le si attribuisce?
“Mi responsabilizza. Perché so che è necessario il cambiamento di cui parlavo. Io sono qui, consapevole che nessuno è il salvatore o la salvatrice della patria. Ho messo nel conto pure malumori interni, come succede per chi viene da fuori, rispetto a un contesto presente. Venti anni fa a mio padre, politicamente, furono tagliate le gambe. Confido che adesso non si verifichino più dinamiche che finiscono col penalizzare il partito tutto”.

Pillole di politica regionale?
“Il governo Musumeci è stato pessimo. La Sicilia è abbandonata. Incontro ogni giorno imprenditori che aspettano fondi mai pervenuti, nel disinteresse generale. Siamo alla disperazione e nessuno se n’è preoccupato. Se il presidente Schifani si porrà nel segno della continuità, come ha dichiarato, non cominciamo male, cominciamo malissimo”.

C’è un dibattito aperto, nel centrodestra, su chi farà che cosa.
“E lo trovo surreale. Da siciliana non mi interessa sapere se Miccichè andrà a Roma o resterà qua. Non me ne importa proprio niente. Bisogna accelerare e porre al centro i veri problemi, quelli per cui la gente non riesce a mettere la pasta a tavola”.

Pillole di politica nazionale?
“Giorgia Meloni ha conservato la fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia. E’ una indicazione chiara della tradizione a cui fa riferimento. E questo non mi lascia tranquilla. Come non mi lascia tranquilla la presenza della Lega. Abbiamo dimenticato il disprezzo verso i siciliani?”.

Ma lo sa che lei, nel corso dell’intervista, ha probabilmente pronunciato più critiche, nei confronti del centrodestra, di quante ne abbia mai mosse Caterina Chinnici, lungo tutta la campagna elettorale?
“Adesso io non ho tenuto il conto… Ognuno affronta le cose a modo suo. Abbiamo lo stesso cognome però, com’è ovvio, ragioniamo in modo diverso”.

La frase di suo papà che le è servita di più?
“Valentina, ricordati che, alla fine, i valori vincono sempre”.

A casa come hanno commentato il suo ingresso all’Ars?
“Mio marito ha scherzato: ma non è che, adesso, ti innamori di Miccichè?”.

E lei cosa ha risposto?
“Che pericolo non ce n’è”. (Roberto Puglisi)


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