Vernengo e i soldi di Cosa nostra| L'irredimibile boss-imprenditore - Live Sicilia

Vernengo e i soldi di Cosa nostra| L’irredimibile boss-imprenditore

Cosimo Vernengo

Scagionato dalla strage Borsellino, avrebbe gestito una rete di prestanome. Ecco i nomi e le attività.

PALERMO – È rimasto una decina di anni in carcere, e in silenzio, pur sapendo di non avere ammazzato il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta. Pur sapendo che, sulla base delle menzogne dei pentiti, in cella ci sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni. Ed invece il castello delle bugie è crollato e Vernengo, nel 2011, è stato scarcerato assieme ad altri cinque ergastolani.

Rientrato nel rione Santa Maria di Gesù, dicono gli investigatori, pochi mesi fa è stato di nuovo arrestato per una presunta estorsione ai danni di una sala bingo del rione Guadagna. Poco dopo la misura cautelare era stata revocata per motivi di salute. Gli stessi motivi di salute che oggi gli hanno evitato il carcere. È finito ai domiciliari per intestazione fittizia e riciclaggio.

Dal giorno della sua liberazione Vernengo non avrebbe fatto solo il mafioso, ma pure il manager. I finanzieri del Nucleo di polizia valutaria lo piazzano alla guida di una rete di imprese. In poco tempo il boss avrebbe aperto diverse attività commerciali, intestandole a presunti prestanome. In un periodo in cui la crisi morde l’economia legale, gli affari sporchi andrebbero avanti, sempre e comunque.

Sotto inchiesta ci sono pure Giuseppe Farina, Davide Fucile, Pietro Vernengo (figlio di Cosimo, ndr), Maria Angela Lopez, Antonio Sampino, Rita Sampino e Alessandro Coniglio. Dalle indagini viene fuori la capacità di Vernengo di diversificare gli affari. Sotto sequestro sono finite quattro pompe di benzina (di cui solo due ancora in attività), ma anche un’impresa che si occupa di rimessaggio barche, la caffetteria Cloe di via Carlo Greca e il Cantaloop Pub via dei Cassari.

Vernengo all’età di 52 anni torna agli arresti domiciliari. Ne aveva 40 quando gli investigatori lo scovarono in un appartamento di Monreale. Si era dato alla latitanza, come aveva fatto il padre Pietro, soprannominato “u Tistuni”, boss storico della mafia palermitana che agli inizi degli anni ’90 si era reso protagonista di un’incredibile fuga dall’ospedale oncologico di Palermo per scampare all’ergastolo. Il figlio, già condannato per mafia, aveva assistito a piede libero al processo Borsellino bis. Il giorno della sentenza era già in fuga.

Vernengo fa parte della schiera degli irredimibili. Sempre a Santa Maria di Gesù qualche mese fa si erano rifatti vivi Salvatore Profeta e Natale Gambino che come Vernengo erano stati scagionati dall’eccidio di via D’Amelio. Irredimibili e, stando alle indagini, con in tasca i soldi che servono per investire. Da dove provenga il denaro, visto che Cosimo Vernengo non ha un lavoro ufficiale, resta il grande mistero. Di soldi sporchi in città ne circolerebbero ancora parecchi, specie quando di mezzo ci sono i nomi della vecchia mafia.

 

 


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